Sassuolo conta poco più di 40mila abitanti. Una piccola città emiliana che, però, a livello calcistico è riuscita a ritagliarsi il suo spazio nel calcio italiano. E adesso, a ragione, sogna qualcosa in più della semplice salvezza. Intendiamoci, sappiamo benissimo che buona parte dei risultati del Sassuolo sono dovuti ai soldi di Squinzi, come d’altronde avvenne negli anni ’90 con il Parma di Tanzi. Ma concentrandoci prettamente sull’aspetto sportivo, e tralasciando il pur importante e decisivo aspetto economico, possiamo riscontrare nel Sassuolo un vero e proprio modello per il calcio italiano di provincia.
I soldi servono, ma se non hai idee alla fine non vai da nessuna parte. Certo, sempre meglio avere un presidente facoltoso che essere pieno di idee ma con dirigenze che ogni anno faticano anche solo ad iscrivere la squadra al campionato. Però, come detto, ai soldi devi anche saper abbinare le idee. E a Sassuolo sembrano esserci riusciti abbastanza bene.
Partiamo dalla composizione della rosa. In un calcio come quello italiano dove l’età media si alza sempre di più e i passaporti si diversificano (nel senso che ci sono troppi stranieri nelle rose), il Sassuolo mostra un dato in controtendenza. Una rosa relativamente giovane e composta per la maggior parte da giocatori italiani. Ora, lungi da voler fare le solite sterili e populiste sperate del tipo “devono giocare gli italiani”, in quanto consci che utopiche rose composte da soli italiani abbasserebbero, allo stato attuale, incredibilmente il valore tecnico della Serie A, non possiamo fare a meno di notare come il Sassuolo abbia deciso di fare del “made in Italy” sia un marchio di fabbrica sia uno strumento per essere competitivo.
Consigli, Berardi, Sansone, Missiroli, Acerbi. Tutti giocatori nati in Italia. Gli altri club non hanno creduto abbastanza o li hanno ritenuto ancora troppo acerbi, e invece hanno trovato a Sassuolo la loro dimensione ideale. Ed anche i movimenti di mercato indicano che a Sassuolo si vuole continuare su questa linea. Trotta e Sensi sono il prototipo ideale di giocatore che può fare bene nel “Sistema Sassuolo”. Italiani, giovani e bisognosi di un ambiente che li faccia giocare senza troppe pressioni. E poi c’è sempre il discorso plusvalenza. Quando uno di questi calciatori si dimostra talmente bravo da sentirsi stretto a Sassuolo ecco che arriva la cessione con conseguente guadagno.
Ma una buona squadra nel suo complesso non si può basare solo sulla sua rosa. Nel calcio moderno è importante anche ciò che gira attorno ad un club. Dal merchandising allo stadio. Già lo stadio, altro punto dolente del calcio italiano. Impianti sempre più vuoti e sempre più fatiscenti. Anche qui il Sassuolo mostra come un’altra strada sia possibile. Il Mapei Stadium di Reggio Emilia, conosciuto in precedenza come Stadio Città del Tricolore, è stato infatti il primo impianto di proprietà di un club (allora era la Reggiana). Attualmente, insieme allo Juventus Stadium e al Friuli, rappresenta uno dei tre impianti di massima serie ad essere di proprietà. Una situazione che ha permesso al Sassuolo di creare a Reggio Emilia un impianto all’avanguardia. Prima con l’acquisto dello Stadio da parte della Mapei (di proprietà di Squinzi) e poi con l’inizio di lavori di ristrutturazione. Tanto che adesso il Mapei Stadium è uno dei migliori stadi italiani, scelto per ospitare la finale della Champions femminile di questa stagione.
Insomma il Sassuolo sembra ridefinire il modello di provinciale di successo. È vero, la base di partenza sono stati i soldi e gli investimenti di Squinzi, ma attualmente i neroverdi sembrano poter essere una società sportivamente autosufficiente. Non un traguardo da sottovalutare per una provinciale, in quanto l’indipendenza dalle fortune del suo mecenate-presidente può rivelarsi vitale per il Sassuolo ed evitare che in futuro dalle parti del Mapei Stadium possano colare a picco come fu per il Parma con il crollo di Tanzi…
Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
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