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La guerra fredda tra De Laurentiis e le curve: la diatriba tra businessman e calcio popolare

Il nodo è il prezzo dei biglietti, il modello Nba si scontra con la natura stessa del calcio italiano ed europeo

70.405, è il numero di abbonamenti che il Napoli staccò nella stagione 1975/76. Per la cronaca quel Napoli, allenato da Vinicio, concluse la stagione al 5° posto e riuscì a vincere la Coppa Italia. Qualche anno dopo, nell’ottobre del ’79, i dati del botteghino del San Paolo registrarono 89.992 spettatori paganti per il match contro il Perugia. Certo, in quell’occasione c’era da fischiare un certo Paolo Rossi, che solo poche settimane prima, ad affare praticamente concluso, aveva preferito Perugia a Napoli.

Numeri importanti. Impossibili da ripetere, visto e considerato che i tempi sono cambiati. Oggi c’è la pay-tv, lo streaming su internet, le app sullo smartphone. Allora l’alternativa era o andare allo stadio o seguire “Tutto il calcio minuto per minuto” per radio. Aspettando magari il pomeriggio inoltrato per vedere i gol in tv durante “90° minuto”. Ma stiamo comunque parlando di 90mila spettatori e 70mila abbonati!

Impossibile rivedere oggi quelle cifre anche perchè il San Paolo, dopo lo scempio di Italia ’90, oggi ne potrebbe contenere massimo 65mila. Purtroppo anche quella è una cifra che negli ultimi anni difficilmente viene anche solo sfiorata. Col Bologna c’erano 21mila spettatori, col Milan poche migliaia in più (24mila). E gli abbonati? Poco più di 6mila, cifra costantemente al ribasso da diversi anni. Le cause?

Ieri poco prima del match contro il Bologna è andato in scena un confronto a distanza tra De Laurentiis e le Curve. Il patron per l’ennesima volta ha ribadito, davanti a tv e giornali, che il San Paolo è uno stadio fatiscente, che lui preferisce vedere la partita in tv e che l’attuale modello competitivo delle leghe nazionali è obsoleto e influisce negativamente sullo spettacolo. Niente di nuovo insomma, con i soliti argomenti dello stadio nuovo, della riforma dei campionati, del guardare a Cina e Stati Uniti che ciclicamente De Laurentiis tira fuori.

Dall’altro lato le Curve, ormai in aperta contestazione nei confronti della presidenza. Dall’esterno potrebbe sembrare paradossale come una squadra costantemente ai vertici da diversi anni, unica a strappare qualche trofeo alla Juve “divoratutto” e con grandi prospettive di crescita sia contestata. La protesta però verte soprattutto sui biglietti e sul loro prezzo. Dover sborsare 40€ per una curva (in uno stadio fatiscente) è a detta dei tifosi (ma anche di molti opinionisti e commentatori) uno sproposito.

Il dato interessante è però un altro. Considerando i prezzi delle altre squadre di vertice, e soprattutto quelli applicati dalla stessa SSC Napoli negli anni precedenti, si nota come quelli di Tribune e Distinti siano perfettamente in linea, mentre l’unico aumento significativo l’ha subito proprio la Curva. Confrontando la gara col Benfica con quella con l’Arsenal di tre stagioni fa notiamo come i prezzi dei Distinti sono invariati (50€), mentre ad essere aumentati sono i prezzi delle Curve (da 30€ a 40€). Tra Curve e Distinti al momento c’è soltanto 10€ di differenza, una cifra troppo bassa per giustificare la diversità del servizio acquistato.

Dal punto di vista dei tifosi, questi dati risponderebbero ad una logica atta a colpire la parte “popolare” del tifo napoletano. Non è un mistero, e De Laurentiis l’ha più volte detto apertamente, che il target a cui punta il patron azzurro è un pubblico medio-alto borghese, quello di Distinti e Tribune per intenderci. Le cicliche dichiarazioni su stadio virtuale, capienza ridotta, riduzione delle Curve e allargamento delle Tribune, rendono chiaro che il modello a cui punta De Laurentiis sia diametralmente opposto alla concezione di calcio che ha chi vive il mondo delle Curve.

Insomma tutto sembrerebbe ridursi alla diatriba tra businessman da un lato e calcio popolare dall’altro. I bei tempi del caffè borghetto, del panino in curva, di megafoni e fumogeni sembrano essere superati in un mondo (non solo calcistico) che ha ormai come unica legge quella della massimizzazione del profitto. Ma è vero anche che il calcio, proprio in questo mondo dove l’unica legge è la massimizzazione del profitto, si presenta come una delle ultime cose autenticamente popolari. Un movimento sociale capace di coinvolgere persone che, nel mondo delle “cose serie”, si sentono spesso e volentieri messe da parte. Il modello tanto caro a De Laurentiis, lo stesso che inseguono anche a Roma, Torino, Milano e nelle altre grandi città europee, è un modello molto simile all’Nba americana, un gioco che predilige lo spettatore al tifoso. Spettatore che va allo stadio per usufruire di uno spettacolo (magari con attività di contorno) indipendentemente dal livello di coinvolgimento emotivo nei confronti della squadra.

Un modello che però si scontra con la natura stessa del calcio italiano (ed europeo), dove non esiste la franchigia (intesa nel senso americano del termine) che si colloca in una città commercialmente appetibile e il cui unico obiettivo è la massimizzazione del profitto indipendentemente dall’ottenimento o meno di traguardi sportivi. Nel calcio italiano (ed europeo) esiste la squadra, la sua storia e la sua identità. E tutte e tre sono imprescindibilmente legate ai tifosi. Si potrebbe dire, forse semplificando eccessivamente, che mentre una franchigia non esiste senza un mercato in cui vendere il suo prodotto-spettacolo (e non è raro che una di esse venga ricollocata quando quel mercato ha esaurito la sua funzione), un club calcistico non esiste senza un insieme di persone che si riuniscono e riconoscono come propria la maglia, il simbolo e tutto ciò che ad esso è legato.

Urge quindi un passo indietro da parte di entrambi i contendenti. I tifosi dal canto loro dovrebbero tornare ad essere tifosi, ad espletare la loro funzione di 12° uomo in campo, ma dall’altro lato la presidenza dovrebbe innanzitutto capire che quei tifosi, quelli che spesso e volentieri vengono tanto “criminalizzati” e che sono le prime vittime di questa insensata politica sui prezzi, sono ciò che rende viva una squadra, che le da senso di esistere. Senza i tifosi alle proprie spalle quella N incastonata nel doppio cerchio blu e azzurro non sarebbe altro che un semplice, e forse inutile, marchio commerciale registrato…

Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio

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