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Il bello e il brutto del tifo calcistico: gli applausi di Frosinone e l'”assalto” dei tifosi del West Ham

Il bellissimo saluto dei ciociari alla Serie A e il vergognoso assalto dei tifosi degli Hammers

“Non amarla quando vince, se non la ami quando perde” E’ uno dei tanti detti sul calcio. Uno di quelli romantici, sul filone del “al di là del risultato”. Quelli ripetuti dopo ogni sconfitta, dopo ogni boccone amaro. Quante volte, specialmente se non tifi una di quelle tre (Juve, Inter e Milan), te lo sei ripetuto ad ogni finale di stagione. Quando vedevi trionfare sempre i soliti e tu, al netto di amici e conoscenti eccitati per l’ennesimo Scudetto o Coppa nella bacheca della loro squadra, eri lì a ripeterti che in fondo il tifo non è questione di vittorie. Che l’appartenenza è ben altro. “Beata la tifoseria che non ha bisogno dei trofei”. Questo lo ammetto, l’ho inventato al momento. Perchè se non sei abituato a vincere te le inventi un po’ tutte per rendere meno amaro il tuo finale di stagione.

E’ un’idea un po’ romantica quella del “non conta il risultato”. Un’idea legata ad altri fattori. Poveri illusi, obiettano coloro che ogni anni fanno la conta dei trofei vinti. Eppure è un’idea che esiste, e ne abbiamo la dimostrazione. Serie A 2015/16, penultima giornata di campionato: il Frosinone retrocede. La squadra di Stellone saluta la Serie A dopo solo una stagione. Penultimo posto, meglio solo dello sgangherato Hellas Verona. Eppure dagli spalti nessun fischio, nessun coro di insulti. Lacrime, quelle sì. Ma tipiche lacrime di chi vuole dire “grazie!”. Per i ciociari solo applausi da parte dei loro tifosi. Un grazie sincero, per aver regalato un sogno, un anno nel gotha del calcio italiano ad una città che in fondo ha poco altro per cui sognare. Solo nove mesi, ma da quelle parti sono bastati per rendere questo anno indimenticabile. E poco importa che negli annali del calcio quella del Frosinone potrebbe restare un’apparizione fugace in massima serie. Certi tifosi sono fatti così. Inguaribili romantici, per loro conta esserci più che vincere.

Una lezione di tifo. Ed è vero. Proprio nelle stesso fine settimana in cui, in Inghilterra i tifosi del West Ham si rendevano protagonisti di un episodio tutt’altro che da ricordare. Una fitta sassaiola al pullman della squadra. Il motivo? La chiusura dello storico Upton Park, casa degli Hammers da più di cento anni. La dirigenza del West Ham ha deciso di cambiare stadio e una frangia di tifosi ha deciso di rendersi protagonista di un gesto tutt’altro che esemplare. L’altra faccia della medaglia di quella parte del calcio che dice di essere “nostalgica”, di essere contro la deriva commerciale di un football sempre più lontano dalle esigenze dei tifosi. Ma se da un alto, a Frosinone, c’è stata la dimostrazione che i trofei (e soldi che ci sono dietro) sono qualcosa di relativo per una parte dei tifosi, dall’altro, nella parte occidentale di Newham a Londra, l’impressione che spesso il concetto di attaccamento alla storia del club sia percepito in modo errato. Che finisce per sfociare in comportamenti per nulla da imitare.

Le due facce del tifo visibili a distanza di poche ore. Ed è un curioso caso che i ruoli si siano invertiti. La Premier da tempo esaltata come modello irreprensibile di tifo, di famiglie allo stadio e di fair play, salita agli onori della cronaca per un episodio spiacevole. Mentre la tanto vituperata Serie A, quella dei campanilismi, degli stadi violenti e dei tifosi esagitati, diventa esempio di tifo corretto. C’è poco da fare, tutto il mondo è paese. E nel bene o nel male lo stesso vale per il tifo calcistico.

Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio

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