Fa freddo a Roma, la tensione è alta. Un gruppo di tifosi è sulla balaustra della Curva dell’Olimpico. Rumoreggiano, gridano, chiedono a gran voce di parlare. Con chi? Con qualcuno della squadra. Questa è la loro richiesta. Una semplice richiesta in breve tempo esaudita…
Ora scegliete voi come continua la storia. Avete presente quei videogiochi dove potete scegliere i due percorsi, dove avete a disposizione due scelte e da lì in poi l’intera storia prende due ramificazioni diverse? Fate finta che sia uno di quei videogiochi e decidete tra le due alternative. La prima prevede che i tifosi sulla balaustra siano napoletani, che siano in subbuglio per il ferimento di Ciro Esposito e che sotto la Curva ci sia Marek Hamsik. La seconda invece prevede che i tifosi siano romani, che siano nervosi per la sconfitta in Europa League e che sotto la Curva a parlare ci siano Daniele De Rossi e Francesco Totti. Da questa vostra scelte dipende il futuro. Scegliete i napoletani e vi troverete con Carogne sbattute in prima pagina, sociologi della domenica atti ad indagare il perché a Napoli la “civiltà” italiana non abbia fatto breccia nelle menti e nei cuori, opinionisti senza opinione che pur di dire qualche opinione vomitano un repertorio di banalità in salsa lombrosiana, e reporter d’assalto pronti a svelare il background criminale dei protagonisti. Ah, logicamente qualche riferimento alla Camorra qua e là, due-tre settimane di indignazione a reti unificate, e gli immancabili “se togliessero il calcio da mezzo”.
E se scegli i romanisti? Qualche trafiletto laterale sul giornale, un paio di servizi, qualche temerario che dice con tono paternalistico “non si fa” e… amici come prima. Doppiopesismo cari lettori. Puro e semplice doppiopesismo. Inutile girarci intorno. Doppiopesismo. Questa la parola magica, l’unica e sola verità. Se sei napoletano dovrai sempre giustificarti. Perché? La risposta qui non è così facile. Alcuni dicono che sia il pregiudizio, altri addirittura parlano di vero e proprio odio razziale. Oppure, altra spiegazione plausibile, la mancanza di protezione mediatica riservata a Napoli. Il peccato capitale di non possedere televisioni nazionali all’ombra del Vesuvio, o quello di avere giornali con il consiglio di amministrazioni qualche centinaio di chilometri più a Nord.
Che ci volete fare, è il prezzo dell’essere italiani nei doveri, ma non nei diritti. Perché per essere italiano nei diritti non solo devi essere italiano. No, devi essere anche un particolare tipo di italiano. Al di là del doppiopesismo tra romani e napoletani, analizziamo il gesto in sé, il gesto di salire su di una balaustra. Essere romano ti risparmia buona parte delle critiche, ti risparmia quelle odiose indagini sociologiche sulla tua gente e la tua città. Ma essere un romano che sale su di una balaustra ti espone comunque alla riprovazione mediatica. Perché? Perché è sbagliato? Si certo, è sbagliato salire su una balaustra, ma forse non è solo quel gesto che crea indignazione. È soprattutto chi lo compie far scattare la reazione sdegnata. E in questo caso a compierlo è l’Ultras, se poi è napoletano peggio ancora. Come il napoletano è passibile di linciaggio più del romano, così l’Ultras è passibile di linciaggio più del tifoso. E’ il brutto di un paese che ragiona per categorie, dove l’apparenza regna sovrana, dove la forma conta più della sostanza.
Chiariamo, minacciare un giocatore non è un gesto giustificabile, e nessuno mai si sognerebbe di farlo. D’altronde siamo i primi a condannare certi episodi, ma non è con la repressione preventiva ed indiscriminata che si prevengono gli eventi spiacevoli. Sarebbe come chiudere tutte le strade perché un ubriaco alla guida potrebbe provocare incidenti. Un colloquio tra squadra e tifosi non è per forza un episodio spiacevole. Non stiamo parlando di mani messe addosso ai calciatori o di coltelli puntati al fianco. E, a scanso di equivoci, qualora succedesse saremmo certamente i primi ad indignarci e a condannare. Stiamo parlando di gente che parla con altra gente. E’ successo anche in Germania, a Dortmund e Stoccarda, senza che si scatenasse tutto questo clamore. Forse è brutto a vedersi, e forse è proprio questo il punto. Perché la forma perfetta, l’apparenza incessante, impone ruoli predefiniti e mai, e ripeto mai, questi ruoli devono essere in un certo qual modo disattesi. Al tifoso il compito di fare il biglietto, pagare la pay-tv, comprare le maglia (possibilmente originale) e stop. Su quello che succede in campo non hai pretese, il tuo compito di tifoso cessa nell’istante in cui esplichi l’unica funzione che il sistema calcio ha in mente per te: il consumatore.
Capite che in questa logica commerciale, in uno sport essenzialmente popolare come il calcio, il ruolo dell’Ultras è quello di colui che rompe le uova nel paniere. E poco importa se è proprio grazie alle tifoserie organizzate che il movimento calcistico si regge e si è retto negli anni. Prima si dà la carota con la storiella del “dodicesimo uomo in campo” e poi il bastone, ghettizzando o addirittura estromettendo quella parte di tifo che, un minuto prima, veniva descritta come “la più genuina”. Una parte di tifo, quella organizzata, che finisce per essere utilizzata ad uso e consumo di chi tiene le fila del giocattolo. Fino al momento in cui non serve più e quindi via con i divieti. Non andare in trasferta, non accendere fumogeni, non esporre striscioni, non discutere col tuo capitano. Se poi discuti in napoletano c’è anche un’ulteriore aggravante. Molto meglio tesserare 230 giocatori, fare una sparata in eurovisione perche l’Uefa ti ha sgamato e andartene via, magari vendendo ad un albanese che a sua volta rivende per un euro ad un imprenditore semisconosciuto che ti porta la sede legale della squadra in Slovenia. Oppure meglio ancora aggiustarle le partite e i campionati, poi patteggi e non succede niente, tanto i cattivi sono quelli che saliranno sulla balaustra. Che si prendessero un telefono con Sim svizzere e pilotassero i campionati, così magari, dopo qualche anno, gli diamo la prescrizione e gli facciamo fare anche le ospitate in tv.
Capite che ciò non è una je accuse indiscriminata, ma solo la costatazione dell’ipocrisia e del doppiopesismo che vige nel calcio e soprattutto nella società nel suo complesso. D’altronde non dimentichiamoci che il calcio è pur sempre la terza industria del paese, e ne rispecchia modi e maniere. E se vivi in un paese in cui puoi far fallire deliberatamente aziende, frodare il fisco, intascare tangenti, e nonostante la somma di tutto ciò rischi meno di chi ruba un uovo al supermercato, non stupiamoci che salire su di una balaustra rappresenti un peccato capitale. Se poi sali sulla balaustra e parli pure napoletano allora vuol dire che il linciaggio mediatico te lo sei proprio andato a cercare…
Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
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