“Dove c’è una grande volontà non possono esserci grandi difficoltà” (N.Machiavelli)
Sul sito della Figc scorri la graduatoria d’ammissione al corso di Direttore Sportivo e il tuo occhio non può fare a meno di posarsi su due nomi in particolare. Ora, sicuramente starete pensando cosa c’entri il corso per Direttore Sportivo con Machiavelli e con la sua frase. Ma pazientate un attimo. Dicevo, scorri l’elenco e ti trovi di fronte due nomi familiari. Nomi che, almeno per me, hanno, in un certo senso, segnato la mia adolescenza calcistica. Sono di una generazione sfortunata. Troppo piccolo per Maradona, Careca, Alemao, ma anche per Zola, Cruz e Fonseca. E già grande con Higuain, Cavani e Callejon. Mi avvicino al calcio quando il meglio era già finito, e mi tocca tutta la trafila pre-fallimento. I Calderon, gli Asanovic, i Prunier, Crasson, Bandieri, Pavon, Pasino e… vabbè avete capito!
I nomi? Già i nomi. Perché scorrendo quell’elenco ecco che appaiono due nomi che, a modo loro, hanno segnato l’uscita da quel tunnel che il calcio napoletano aveva imboccato. Parlo di Francesco Montervino e Gianluca Grava. Il primo capitano del dopo-falliemento e l’uomo della favola azzurra. Dalla C alla Champions. Dai palloni di Paestum alla notte magica di Villareal. No, non c’erano ancora Lavezzi, Hamsik, Cavani. Non si lottava ancora per un posto in Europa. Un Napoli diverso, giocatori diversi. Meno puzza sotto il naso e più cuore in campo.
Montervino, mastino in mezzo al campo. L’unico, assieme a Cataldo Montesano, a non abbandonare la barca che affondava in quella tragica estate del 2004. Le giornate passate davanti alla Tv, a leggere sui giornali l’ultima notizia su quel fallimento che incombeva sul Calcio Napoli. E la notizia che nessuno voleva sentire. La C, il Napoli Soccer e quel maledetto play-off ad Avellino. Montervino c’era. Cerniera tra il Napoli che fu e il Napoli che sarebbe stato. E con gli azzurri una grande cavalcata. Titolare in C, titolare in B. Con l’onore e l’onere della marcatura ad uomo su Del Piero nella sfida contro la Juve retrocessa in cadetteria dopo Calciopoli. Poi venne la A e nonostante tutto, in due anni di massima serie, 30 presenze e lo “sfizio” di un gol. Poi le strade si separano e Montervino va ai rivali della Salernitana. Cinque stagioni a buon livello, anche qui un fallimento di mezzo, e un’uscita di scena non proprio esaltante, dopo aver provocato i tifosi avversari in un Aversa-Salernitana: sei giornate di squalifica e Daspo di due anni (il tutto poi ridotto solo a tre di squalifica). A giugno resta senza contratto. Così la decisione. Dal campo alla scrivania.
Più lunga e più ricca di soddisfazioni la carriera napoletana di Gianluca Grava. Arriva a Napoli nel gennaio del 2005, dal Catanzaro. È un onesto difensore che ha sempre giocato tra Serie C e Dilettanti. Uno che, in quel frangente, può anche farti comodo, ma che difficilmente potrà avere futuro col Napoli. Almeno è ciò che molti pensavano. Saranno clamorosamente smentiti. Perché dopo l’anno e mezzo di C, Grava è titolare anche in B. Poi c’è il salto in A. I mezzi tecnici sono quelli che sono, l’età avanza (siamo sulla 30ina), e lo scotto di dover affrontare un campionato competitivo si fa sentire.
Grava fatica a trovare spazio, sia con Reja che con Donadoni. Ed anche i tifosi lo considerano uno dei tanti esuberi ereditati da una veloce risalita dalle serie minori. Quello che però Grava ha in più rispetto ad altri (anche più dotati tecnicamente) è una forza di volontà fuori da comune. E dei principi che un atleta dovrebbe, almeno in teoria, sempre rispettare. È vero, non ha i piedi di un fuoriclasse, ma ha una testa (nel senso di mentalità) che andrebbe clonata e trapiantata in qualche novello “fenomeno del tweet”. E qui torniamo alla frase iniziale. Perché se hai la volontà, e la testa sulle spalle, non esistono difficoltà, nemmeno se devi giocare in Serie A.
Arriva Mazzarri e Grava diventa titolare. All’inizio è per far fronte all’emergenza in difesa. Ma quel piccoletto, arcigno, ordinato, sempre concentrato, comincia a piacere. E dalla difesa titolare non si muove. Il Napoli passa dal terzultimo posto a sfiorare la Champions. Grava passa da “esubero” ad idolo della tifoseria. Le stagioni successive saranno, anche per l’evidente avanzare del tempo, meno soddisfacenti dal punto di vista delle presenze. Grava comunque si toglie la soddisfazione dell’esordio in Champions e della conquista della Coppa Italia.
Ma è sugli spalti che Grava ottiene il più grande successo. Quel difensore piccoletto e mingherlino, che molti consideravano solo di passaggio, diventa un simbolo. Il giocatore ideale per il tifoso partenopeo, colui che, nonostante non possieda grandi mezzi tecnici, onora la maglia fino alla fine. Mai una parola fuori posto, mai un comportamento esuberante. Tipica vita da atleta fuori dal campo, tipico comportamento da guerriero sul terreno di gioco. E il ruolo di responsabile del settore giovanile è solo la naturale prosecuzione di un rapporto col Napoli che doveva e deve assolutamente andare avanti.
Il corso per Direttore Sportivo è un’ulteriore opportunità. Un’ulteriore strada che, in futuro, potrebbe portare il Napoli e Grava a prolungare, con altri tempi e altri ruoli, il loro rapporto. Difficile dite? Tornate ad inizio articolo, leggete la prima frase. Poi ricordatevi che stiamo parlando di Gianluca Grava e datevi la risposta.
Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
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