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Da Thohir a Pallotta, il calcio globale avanza anche in Italia. Per il Napoli un rischio o un’opportunità?‏

Le voci di un possibile interesse arabo per il Napoli dividono i tifosi. C'è chi sogna di emulare il City e chi teme il flop del Malaga. L'invasione dei nuovi ricchi in Serie A è comunque un qualcosa di sempre più imminente

In principio furono gli Agnelli. I primi “paperoni” del calcio italiano. Dagli anni 20 il loro nome e quello della Fiat è indissolubilmente legato a quello della Juve. E in un calcio che era ancora agli albori del professionismo misero in pratica il concetto, tanto chiaro in futuro, che dal potere economico deriva anche quello sportivo.

Poi venne il momento di Rizzoli e Moratti, rispettivamente come presidenti di Milan ed Inter. E anche il Napoli ebbe il suo paperone in Achille Lauro, celebre e controverso imprenditore e politico degli anni ’60. Queste ed altre figure trascinarono il calcio nel vortice del boom economico. Il pallone passava da sport povero e sport miliardario.

Ma il vero spartiacque per il calcio italiano fu la nascita del binomio Milan-Mediaset. Una quantità di soldi immessi sul mercato calcistico che fece balzare alle stelle gli ingaggi e le quotazioni dei giocatori. Contemporaneamente, grazie ai “generosi” (successivamente si scopriranno non proprio puliti) investimenti della Parmalat anche il Parma entrava nel novero delle potenze calcistiche, dimostrando che, anche un’anonima squadra di provincia, con la massiccia iniezione di capitali, poteva entrare nell’elitè del calcio.

Un equilibrio, quello delle sette sorelle, legate ognuna a qualche paparone nostrano, che era però destinato ad implodere. Prima la Fiorentina di Cecchi Gori, poi la Lazio di Cragnotti, poi il Parma di Tanzi e infine la Roma di Sensi. Tutte travolte da un sistema che non poteva più reggere.

Nuovo millennio e nuovi paperoni. E non sono più quelli nostrani, legati a quel “capitalismo di relazioni” tanto caro al sistema italiano. No, i nuovi paperoni sono global, parlano russo, arabo, inglese e cinese. Quasi mai Europei, quasi sempre legati al petrolio, al gas. E sempre più spesso guardano al calcio come parte di un business più grande.

Il Chelsea di Abramovich fu l’apripista. Seguirono a ruota il City e il Psg. E se l’Italia, almeno all’inizio, sembrava essere “immine” da questa globalizzazione calcistica, adesso è chiaro che sceicchi, zar del gas e zii d’America, guardano anche alla Serie A come possibile mercato in cui investire.

La Roma e il Bologna parlano ormai americano. E la stessa Inter da giusto un anno è passata nelle mani indonesiane di Thohir. Forse non proprio quel genere di paperone che la sponda nerazzurra di Milano aspettava. Infatti il nuovo corso interista non è di certo all’insegna delle spese folli.

Quindi magnate straniero non vuol dire necessariamente paperone?

Una domanda importante, viste anche le voci che stanno circolando attorno al Napoli. Si parla di sceicchi, investitori quatarioti, trattative con De Laurentiis. Di vero ci sono solo sporadici contatti, e non si è assolutamente arrivati alla definizione di una trattativa per la cessione del club (clicca qui). Ma il solo pensiero dello sceicco a Napoli già fa sognare i tifosi. O meglio alcuni tifosi.

Già, perché l’opinione pubblica azzurra risulta essere spaccata in due o forse più parti. Da un lato i critici di De Laurentiis, ansiosi di far terminare quella che loro definiscono “dittatura romana”. Ci sono invece quelli che sono schierati a priori con il patron azzurro, evocando, un po’ eccessivamente,  i fantasmi di Naldi e Corbelli. Meno estremiste le posizioni di chi non vorrebbe fare un salto nel vuoto (il celebre “nun lassà ‘a via vecchia pa ‘a via nova”), ma anche di chi vedrebbe nei soldi arabi opportunità legata ad investimenti maggiori, anche sulle infrastrutture.

In tutto ciò è chiaro come i tifosi napoletani, pur non essendoci conferme riguardo nessuna trattativa, già fanno alcune valutazione su di un eventuale (e per il momento remoto) post-De Laurentiis.

I precedenti di Psg e City fanno sognare, inutile nasconderlo. Specialmente con gli inglesi gli azzurri hanno punti in comune. La squadra “perdente” di Manchester che dopo l’arrivo degli sceicchi ha sovvertito le gerarchie. Un qualcosa che i tifosi azzurri non possono non sognare. Il Napoli che mette dietro le ricchissime tre del Nord e le romane, come ai tempi di Maradona. Magari con altri grandi campioni (oltre a quelli che già ci sono attualmente in campo) per puntare in alto. E tutto il discorso su strutture e stadio. Un corollario non certamente di minor interesse per il tifoso.

Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia. Quella di Malaga e Monaco per intenderci. Quella di paperoni che si stancano presto, che lasciano il loro “giocattolo” non appena si rompe. E quindi il rischio di anni di anonimato dopo l’illusione.

C’è poi la terza via, quella proprio dell’Inter. Per cui cambia tutto per non cambiare nulla. E il rischio che le speranze legate ad un nuovo presidente svaniscano. Che non si rimpianga tanto il vecchio, ma che piuttosto non si noti la differenza. Allora, il pensiero potrebbe essere, tanto valeva non cambiare.

Resta il fatto che in un calcio sempre più globale è impensabile restare chiusi nel proprio recinto. Le anacronistiche dichiarazione di italianità (sia societaria che in campo) sono parole al vento di fronte ad un mondo, e ad un calcio, che cambia con velocità maggiore rispetto alla penna di qualche nostalgico. Prima o poi (e sta già avvenendo) anche la Serie A dovrà far fronte all’avanzata dei nuovi ricchi. Sta a noi, addetti ai lavori, presidenti, dirigenti, calciatori e soprattutto tifosi far si che questa sia un’opportunità. Certo non per illuderci di essere i nuovi Psg, ma neanche per finire come i nuovi Malaga.

Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio

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