Due anni fa, nel 2013, esordiva Rafael Benitez sulla panchina del Napoli, annunciato come l’uomo-simbolo di un rinnovamento che avrebbe condotto la Società e forse la città (calcistica) verso un processo di internazionalizzazione a lungo termine, che doveva riguardare non solo l’aspetto tecnico ma tutti i settori, dalle infrastrutture all’approccio ai vivai. Quell’anno, De Laurentiis, insieme alle promesse, regalò diversi colpi ad effetto sul mercato, in primis quelli provenienti dalla Spagna: tre campioni del Real Madrid si trasferivano all’ombra del Vesuvio per vestire la maglia azzurra. I proclami non mancarono e si puntava in alto: scudetto da contendere nel giro di pochi anni, se non subito. Tra sponsor, diritti TV, partecipazioni Champions e un pubblico sempre presente, gli incassi non mancarono a compensare le spese, d’altra parte già favorite dalle cessioni illustri dei giocatori migliori di Mazzarri, su tutti Cavani e Lavezzi.
Due anni dopo, Benitez salutava Napoli, per sua volontà apparentemente, la famiglia e via dicendo. In realtà perché quel progetto annunciato sembrava improvvisamente essersi arenato: nel secondo anno il Napoli lasciava già la Champions, la società non sembrava intenzionata a rafforzare ulteriormente il progetto tecnico, senza menzionare gli eventuali miglioramenti ad impianti e strutture, comprese le difficoltà per la ristrutturazione del San Paolo. Molti salutavano Benitez con un senso di liberazione: le delusioni dei tifosi ricadevano per lo più sull’allenatore spagnolo, certamente colpevole di errori, come chiunque può esserlo, senza considerare però la rosa di cui disponeva.
Ai saluti di Benitez sono corrisposti i “benvenuto” ad un nuovo coach, Maurizio Sarri, tra speranze e incertezze. Sarri fa rima con Mazzarri: non per le caratteristiche tecniche e tattiche, ma per il significato generale di questa scelta. D’un tratto, il lungimirante piano di internazionalizzazione si è spento definitivamente, le promesse sono cambiate, le speranze dei tifosi sono state improvvisamente dirottate su un’altra idea: il made in Italy forse funziona meglio, e si torna alla mentalità pragmatica di un allenatore formatosi con la gavetta tra le cosiddette “provinciali”.
Non che Sarri, però, sia privo di aspettative ed ambizioni, e qualche nuovo innesto importante lo avrebbe desiderato anche lui, soprattutto a colmare le lacune della rosa. Si è partiti con il rinnovo di Christian Maggio, i cui limiti tecnici e anagrafici sono a dir poco evidenti. Si sono poi rincorsi un altro paio di terzini, più o meno altisonanti (Darmian è finito all’estero, in una squadra più blasonata e ricca), alla fine è arrivato Hysaj, quanto meno ad aumentare le difficoltà di pronuncia per il pubblico partenopeo. Si è inseguito un centrale di livello (Maksimovic lo era davvero?) per compensare i deficit mostrati dal duo Albiol-Koulibaly, ma alla partenza di Britos è seguito l’arrivo di Chiriches, che non sembra dotato di maggiore velocità rispetto all’uruguaiano, e apparentemente non dovrebbe innalzare nettamente il livello. A centrocampo è arrivato Allan, di certo il miglior acquisto, mentre si attende di riscontrare l’importanza di Valdifiori, fortemente voluto da Sarri. Intanto, trapelavano malumori poco eleganti da parte dei procuratori di Gabbiadini e Mertens, preoccupati per i loro assistiti, mentre l’Inter provava a farsi sotto.
Infine, l’ultimo giorno di mercato, quando tutti speravano in un paio di sorprese che raddrizzassero le bocche storte e facessero pensare che fosse meglio attendere prima di giudicare. Ma la tragicomica vicenda di Soriano e i mancati addii di Zuniga e De Guzman hanno lasciato intatte le smorfie insoddisfatte di chi osservava il decorso del mercato partenopeo. Mentre le altre squadre di prima fascia della Serie A – Roma, Inter, Juventus e anche la Fiorentina – si sono rinforzate con un evidente sforzo economico, a Napoli non è più arrivato un altro difensore centrale, nessun terzino di spicco né un ulteriore centrocampista a completare il mosaico. David Lopez rimane la prima alternativa in mezzo, in difesa ci sono evidenti limiti davanti a Reina, davanti c’è la solita abbondanza con qualche mugugno, e il resto è affidato alle mani da lavoratore di Sarri, ma sia lui sia i tifosi hanno tutto il diritto di avanzare qualche legittima perplessità.
Lorenzo Licciardi
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