Tra molti proclami, qualche “banana” di troppo, e riforme che, sulla carta, vorrebbero rilanciare il calcio italiano, è dal calciomercato che arriva per il momento la novità più interessante di questo 2014/15. Dopo anni di monopolio incontrastato da parte degli hotel milanesi, con la capitale meneghina centro e fulcro del calcio nostrano, la sessione invernale di calciomercato si farà a Taormina. La “perla dello Jonio”, meta turistica fin dall’epoca borbonica (basti ricordare i soggiorni di Goethe e Maupassant), sarà dal nuovo anno, per una settimana, capitale del calcio italiano. Un successo non indifferente per la cittadina messinese e per la sua immagine. Un successo che, se da un lato ci rende comunque felici se non altro per l’effetto novità, dall’altro ci spinge anche ad un’amara riflessione.
Si perché, a questo punto, e lungi dal voler creare alcuna polemica con gli amici siciliani, la domanda appare lecita: E Napoli?
Già Napoli, proprio Napoli. Pronta a mancare l’ennesima occasione. Napoli che ancora una volta dorme. O peggio, che fa finta di svegliarsi, per un breve istante, e poi torna nel letargo più profondo. Si, perché la proposta (fatta in più di un’occasione anche dal nostro portale) per portare il calciomercato a Napoli c’era, e poteva essere anche concreta. Solo che, a differenza di quanto fatto a Taormina, non s’è dato seguito. L’idea di portare il calciomercato a Napoli, e più precisamente alla Mostra d’Oltremare, c’era. La differenza? A Taormina, complimenti ai siciliani, c’è stata sinergia tra Comune, Regione e Albergatori. A Napoli? Il silenzio.
Ora, giustamente, direte: ma con tutti i problemi che ci sono… bla bla bla… proprio al calciomercato dobbiamo pensare? Avete pienamente ragione. Ma il mancato approdo del calciomercato a Napoli è solo la punta dell’iceberg, il visibile di un qualcosa di più grande. È solo l’ultima virgola ad un elenco di occasioni mancate. È solo l’ennesima manifestazione di una mentalità di subalternità e rassegnazione che sembra aver pervaso sia chi amministra la città, sia coloro che si sono auto-eletti “intellighenzia” partenopea.
L’occasione mancata, colta invece brillantemente dai siciliani, è indice di una mentalità di subalternità delle classi dirigenti. Una mentalità che purtroppo Napoli sembra possedere nello sport, come negli altri campi. Domandiamoci, al di là di Taormina (location ottima e suggestiva per il calciomercato), ma davvero Napoli non ha le stesse potenzialità di Milano per un evento del genere? Davvero la Mostra d’Oltremare o uno dei favolosi hotel sul lungomare non possono egregiamente sostituire l’Ata Hotel o l’Hilton del capoluogo lombardo.
Pensare che Napoli, nel calcio come nelle cose importanti, non sia in grado di farlo è la sconfitta più grande. Le colpe? Molteplici. La cronica mancanza di fondi e strutture, imputabile anche e soprattutto ad uno Stato spesso e volentieri esattore, ma raramente contributore, è forse quella più grande. Ma basta davvero questo per rassegnarsi ad una Napoli defilata e di secondo piano nel panorama sportivo (e, continuo a ripeterlo, non solo sportivo, vedasi Expo di Milano) italiano? L’America’s Cup, la Coppa Davis e il Giro d’Italia hanno dimostrato che Napoli ha le potenzialità per gestire e promuovere questi grandi eventi. E la mancanza di risorse finanziarie può (in un certo senso) essere colmata da altri tipi di risorse, come quelle umane.
Non bastano però eventi “una tantum”, che creano solo la momentanea illusione di una grandezza ritrovata, ma che lasciano poco o nulla nel lungo termine. Così come non basta, a livello calcistico, l’elemosina di un Italia-Armenia, gara di basso profilo che, nonostante la sbandierata presenza di Insigne, ha fatto meno spettatori di un’amichevole estiva.
Il riscatto di Napoli passa da cose più serie, ma anche dallo sport. Si perché è anche attraverso lo sport che si scardina una mentalità imposta che fa più danni di decine di amministrazioni comunali incompetenti. È nel fatalismo, nell’idea che ogni condizione sia dovuta a “castighi divini”, che i mali del presente siano immutabili, eterni e (a torto) quasi meritati. Scardinare questa mentalità non è semplice, è esercizio lungo, ma profittevole. Pensare che Napoli non sia in grado di ospitare un grande evento è il primo passo per far si che nessun evento sarà mai ospitato da Napoli.
È venuto il momento di ridare a Napoli quel ruolo centrale che le spetta. Lo sport è un importante veicolo sociale, ed attraverso di esso si possono instaurare dinamiche che vanno a sconfinare anche in ambiti più seri. Una squadra vincente (nel calcio come nel basket o nella pallanuoto), uno stadio e un palazzetto (PalaArgento docet) all’avanguardia, in grado di ospitare una finale di Champions, di Supercoppa oppure un Europeo di basket o pallavolo, non è mero esercizio di vanità, ma la dimostrazione che a Napoli le cose possono funzionare. Dallo sport al resto … e viceversa.
Per farlo è si indispensabile che si cambi la mentalità “fatalista”, ma è anche auspicabile che le schiere di pseudo-intellettuali, sempre pronti a crocifiggere la loro città, la smettano di scimmiottare i loro omologhi di qualche latitudine più a Nord. Napoli deve, anche nello sport, smetterla di mangiare gli avanzi al tavolo di un sistema tosco-padano che sembra volerla ridurre a città-bonsai, senza crescita, senza prospettiva, ingabbiata in una folkloristica presenza da attore non protagonista. Deve invece riprendersi quel ruolo che l’ha contraddistinta per secoli, sedendo alla pari al tavolo delle grandi città d’Europa e del Mediterraneo.
Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
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