Di Zeman ne parlai abbondantemente già in un articolo precedente. Il boemo, dopo decenni di onorata carriera, riesce ancora a dividere le masse dei calciofili. È uno dei pochi, forse l’ultimo esponente, di una categoria particolare: o lo si ama o lo si odia. Non c’è via di mezzo. Nessuna sterile riverenza. O sei con lui o contro di lui.
Questo lo vedemmo bene a dicembre quando il Cagliari, con una classifica preoccupante ma non certo disastrosa, decise di esonerarlo. La piazza si spaccò e neanche il nome di un sardo doc come Zola (amatissimo a Cagliari) riuscì a frenare i malumori di chi, ed erano molti, gridava “Con Zeman fino alla fine!” Il Cagliari non fece marcia indietro, si affidò a Zola, riponendo nell’ex capitano cagliaritano le speranze di una classifica migliore. Ambizioni prontamente deluse, visto e considerato che, dopo poche settimane, arriva il dietrofront della società. Via Zola, torna Zeman!
Numeri alla mano l’esperienza di Zola a Cagliari è stata tutt’altro che positiva. Inizia con un 5-0 contro il Palermo e prosegue con altre 5 sconfitte. Solo 2 le vittorie ed altrettanti i pareggi (per un totale di 8 punti in 10 partite). Zeman, prima dell’esonero, e senza il mercato di riparazione di gennaio, aveva invece collezionato 12 punti in 16 gare (media 0,75). In pratica la media punti tra Zeman e Zola era praticamente la stessa. Il perché di tutto questo preambolo? È presto detto. Riassumiamo tutto nella frase del celebre e compianto Vujadin Boskov: “Nel calcio c’è una legge contro gli allenatori: calciatori vincono, allenatori perdono”
E come dargli torto. Nel calcio moderno la figura dell’allenatore ha assunto le sembianze dell’eterno precario (ben pagato comunque) sempre sul filo del licenziamento. Bastano 3-4 partite storte (e sappiamo che spesso nel calcio un paio di centimetri fanno la differenza tra vittoria e sconfitta) e l’allenatore è il primo a salutare. Una tendenza che quest’anno sta diminuendo con “soli” 6 esoneri, contro i ben 15 della scorsa stagione o i 13 del 2012/13.
Prendendo in esame lo scorso torneo possiamo anche notare come le tre retrocesse (Bologna, Livorno e Catania) abbiano da sole totalizzato ben 7 esoneri con i vari Maran, Ballardini, Pioli, Nicola, Perotti, Pellegrino e De Canio che si sono susseguiti su quelle panchine inutilmente. Anzi, per fornire altri dati, possiamo dire che solo cambio della Samp Rossi-Mihajlovic abbia dato la scossa giusta, mentre per il resto, a partire dal cambio Allegri-Seedorf la differenza non s’è affatto vista.
Cambia l’anno, ma non la sostanza. Perché anche quest’anno solo il cambio del Chievo sembra aver dato i suoi frutti, con Maran che, subentrato a Corini, ha condotto i suoi alla salvezza. Mazzarri, per quanto se ne dica, in campo ha fatto più di Mancini, ma lo stesso dicasi anche di Cesena e Atalanta, dove Reja e Di Carlo non hanno impresso quella svolta tanto attesa. Identica situazione nel 2012/13 dove i cambi a Pescara, Siena e Palermo non portarono a nulla. Le uniche “virate” degne di nota sono avvenute a Genova (alla Samp con Delio Rossi che subentrò a Ferrara) e a Cagliari con Pulga al posto di Ficcadenti). Al Genoa tre allenatori diversi (De Canio, Del Neri e Ballardini) portarono ad una salvezza risicata, mentre a Roma il cambio Zeman-Andreazzoli non sortì alcun effetto particolare con la Roma che, in ogni caso, concluse la stagione fuori dalle coppe europee.
Tutto ciò denota una tendenza, esasperata nel calcio moderno, di colpevolizzare eccessivamente l’allenatore. Addirittura certe volte può capitare che gli stessi tifosi esonerino virtualmente un tecnico ancor prima che la stagione cominci (vedasi le proteste dei tifosi juventini ad Allegri quest’estate) e che si vedano i primi risultati in campo.
Insomma il calcio moderno ed in particolare la Serie A sta diventando un posto sempre meno tranquillo per i tecnici. Fin quando la squadra arranca o è nelle ultime posizioni, il cambio di allenatore è concepito e giustificato. Ma arrivare addirittura a chiedere le teste dei tecnici a metà stagione, con ancora diversi obiettivi alla portata, è qualcosa di illogico e sbagliato. Possiamo dire, usando parole povere, che la cosa stia sfuggendo di mano.
E se non si mettono i presidenti, alcuni dei quali come Zamparini e Cellino sono diventati dei leggendari mangia-allenatori, o i tifosi, c’è il rischio che l’esonero possa avvenire anche a “mezzo stampa” con addetti ai lavori talvolta troppo critici o prevenuti nei confronti di un determinato tecnico, tanto da iniziare campagne mediatiche per la sua cacciata. Esemplificativi i casi di Mazzarri a Milano, che a conti fatti ha fatto meglio del tanto amato Mancini, di Benitez a Napoli che, nonostante abbia commesso degli errori, ha comunque portato a casa due trofei con una rosa palesemente incompleta, o di Garcia a Roma, l’anno scorso osannato e adesso pronto ad essere messo sul primo aereo per la Francia.
Chiudo con un video tratto dal film “Il maledetto United”. Erano gli anni ’70, i capelli erano più lunghi e i pantaloncini più corti. Niente jeans o camouflage, niente patacche pubblicitarie sulle maglie e niente lunch-match alle 12,30. Ma a quanto pare, già a quei tempi, senza le pressioni, gli sponsor e gli interessi di oggi, l’unica persona di cui un club poteva fare benissimo a meno era il “fottuto allenatore”
Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
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