Italia ’90 è passato alla storia come il Mondiale delle “Notti Magiche”, dell’Olimpico sempre in festa, di Totò Schillaci, della semifinale che divise il San Paolo e della Germania, per l’ultima volta Ovest, campione per la terza volta. Ma il Mondiale del ‘90 sarà ricordato anche per un episodio curioso che riguarda proprio i prossimi avversari dell’Italia: la Costa Rica.
A quel Mondiale la Costa Rica si presentava da esordiente. Avevano staccato il pass in quanto vincitori del Campionato CONCAF (l’equivalente nordamericano dell’Europeo), dopo aver battuto in finale gli Stati Uniti, alla fine anch’essi qualificati. Quella costaricana è una nazionale giovane, spregiudicata. Tutti provenienti dal campionato nazionale, nessuno gioca in Europa. Ma sulla panchina c’è un tecnico che sa il fatto suo: Bora Milutinovic. È uno specialista quando si tratta di Mondiali. Nell’86 il suo Messico ha ben figurato. E successivamente riuscirà anche a portare Stati Uniti (‘94) e Nigeria (‘98) agli ottavi. Ma i suoi capolavori sono senza dubbio due: la qualificazione mondiale con la Cina (2002) e gli ottavi con la Costa Rica ad Italia ’90.
Già, perché a dispetto dell’etichetta da esordiente, la Costa Rica ad Italia ’90 esprime un buon calcio. E riesce a qualificarsi. Nessuno l’avrebbe mai detto, ma la squadra di Milutinovic mette dietro Svezia e Scozia, perdendo solo contro il Brasile di Careca. E proprio nella gara contro il Brasile va in scena qualcosa di insolito. È la seconda giornata del Gruppo C, quello che si gioca a Genova e Torino. Brasile e Costa Rica sono prima a 3 punti e al Delle Alpi di Torino c’è lo scontro diretto. Come detto lo vincerà il Brasile. Ma la partita passerà alla storia per la divisa indossata dalla Costa Rica. A righe bianconere. I più smaliziati dissero che si trattava di una mossa per ingraziarsi il pubblico di Torino. Fatto sta che quella maglietta simil-Juve se da un lato fece protendere il pubblico di Torino per i caraibici, dall’altro portò poca fortuna. La Costa Rica perse, anche se la successiva partita, giocata sempre con la maglia bianconera ma a Genova, sarà un trionfo. Svezia battuta e storico passaggio del turno centrato.
Ma la divisa bianconera della Costa Rica, rimasta un unicum nella storia della nazionale caraibica, non è l’unica maglia particolare indossata durante i Mondiali. E anche l’Italia non è esente da divise “alternative”.
Dopo un inizio in bianco (in onore della Pro Vercelli, squadra detentrice dello Scudetto in quel momento) l’Italia adotta stabilmente l’azzurro (o meglio il blu) in onore del colore dello stemma dei Savoia. E l’azzurro, anche dopo la caduta della monarchia, ha sempre accompagnato gli italiani, con il bianco relegato a colore da trasferta. Sempre azzurri, tranne in un’occasione. Nei Mondiali del ’38, in piena epoca fascista l’Italia indossò, per le prime due gare del Mondiale, una divisa totalmente nera, a completamento del processo di “politicizzazione” della Nazionale voluto da Mussolini. Fortunatamente dopo le prime gare si tornò all’azzurro e il nero sulle maglie dell’Italia, complice anche la caduta del Fascismo, rimase solo uno sbiadito ricordo.
L’Italia però è indirettamente protagonista anche di un altro estemporaneo cambio di maglia. Siamo ai Mondiali del ’34. La partita èGermania – Austria, finale per il 3°-4° posto. Si gioca a Napoli. Entrambe hanno la maglia bianca. Urge quindi un cambio di casacca. Visto che allora non era ancora in uso la cosidetta divisa da trasferta, bisognava fare di necessità virtù. Fu così che gli austriaci indossarono la maglia azzurra del Napoli, ottenendo così anche il supporto del pubblico locale. L’Austria perderà 3-2, ma, con un po’ di orgoglio, noi napoletani possiamo dire che, seppur per caso, una delle migliori nazionali della storia, il Wunderteam austriaco, ha indossato la maglia del Napoli. E l’ha indossata anche Matthias Sindelar, detto il “Mozart del pallone”, il più forte giocatore austriaco della storia, ricordato per i suoi gol, ma soprattutto per il fatto di essere stato l’uomo che “disse no ad Hitler”, rifiutandosi di fare il saluto romano in sua presenza e di giocare per la nazionale tedesca dopo l’Anschluss. Inutile dire che la sua vita finì in modo tragico durante la guerra.
Gli episodi del cambio di maglia non riguardano però solo il calcio dell’anteguerra. Anche dopo il secondo conflitto mondiale assistiamo a simpatici cambi di casacca. Il ’50 sarà ricordato per il Maracanazo e per l’abbandono da parte del Brasile della divisa bianca. Ma è anche l’anno in cui il Messico, in un Messico-Svezia, giocò con la maglia blu del Cruzeiro. Sorte simile toccò all’Argentina nel ’58. L’albiceleste è troppo chiaro e si confonde con il bianco della Germania Ovest. I tedeschi rifiutano di cambiare maglia e così gli argentini sono costretti ad indossare la divisa gialla dell’IFK Malmo.
E se pensate che con l’introduzione delle divise da trasferta siano cessati questi episodi vi sbagliate. Perché c’è sempre l’errore umano pronto a creare il problema. Errore come quello del magazziniere della Francia che nel ’78, prima della gara con l’Ungheria, dimenticò il completo bleu a Buenos Aires. Risultato? Sia i francesi che gli ungheresi avevano la maglia bianca. Fu così che i dirigenti transalpini, aiutati dalla polizia locale, dovettero prendere le maglie dei locali del Kimberley a strisce bianco-verdi.
Questo è l’ultimo episodio curioso legato alle divise dei Mondiali. Fino ad oggi, almeno. Fino al simpatico accoppiamento in Cile-Spagna dell’altro giorno. Per fortuna nessun colore uguale e nessuna divisa “locale” indossata in fretta e furia. Solo un 20 dietro la maglia e un 19 sui pantaloncini del cileno Aranguiz. A dimostrazione che, nonostante le severe regole FIFA (le stesse che hanno mandato in soffitta i pantaloncini neri di Germani e Argentina, e quelli blu della Spagna) c’è ancora spazio per qualche umano, divertente e piacevole “errore”.
Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
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