Quando ti trovi in un campionato in cui è il potere economico di tre squadre a farla da padrone esistono solo due vie percorribili. La prima e tentare un volo pindarico, un decennio di successi e poi via verso il fallimento. Chiedere ai vari Cragnotti, Tanzi e Cecchi Gori, anche se con i giusti agganci puoi sempre sperare in un decreto “spalma-debiti” o in un ripescaggio per “meriti sportivi”. C’è poi una seconda via, quella della crescita graduale, del tentativo di mettersi alla pari con i colossi del Nord senza disporre di capitali extracalcistici alla Agnelli o Berlusconi. Ed è questa la strada che sembra aver intrapreso De Laurentiis. Una crescita graduale, all’insegna della quadratura del bilancio, con la missionannuale di aumentare i ricavi pur alzando costantemente il tetto di spesa. Per fare ciò il patron azzurro guarda a chi, fuori i confini italiani, ha sempre perseguito questa via.
Consci che livelli di potere economico come quelli di Juve, Real o Bayern sono per il Napoli un puro miraggio, De Laurentiis ha da sempre visto con occhio favorevole la politica societaria dell’Arsenal. La società londinese infatti è da sempre un modello europeo per quanto concerne la gestione economica e sportiva. Un modello a cui il Napoli idealmente continua a tendere, ma purtroppo con evidenti difficoltà. Parliamoci chiaro: i risultati sportivi ed economici degli azzurri sono eccezionali. Il Napoli, unica in Italia assieme al Milan, è da cinque anni consecutivi in Europa, da quando è tornato in massima serie ha centrato un secondo e un terzo posto, oltre ad aver alzato al cielo la Coppa Italia. E il bilancio, caso più unico che raro in Italia, sorride. Nonostante ciò i livelli dell’Arsenal sono ancora lontanissimi, ed il perché è presto spiegato
Partiamo dalla situazione più rognosa, quella dello stadio. I Gunners hanno nell’Emirates Stadium un impianto moderno, funzionale, in grado di generare ricavi. Inaugurato nel 2006 e costato circa 400 milioni di sterline, l’Emirates ha preso il posto del vecchio Higbury. Attualmente è il terzo impianto per capienza dell’Inghilterra, dopo Old Trafford e Wembley, e tra i primi in Europa per ricavi. La sponsorizzazione della compagnia aerea Emirates, che ha rilevato i diritti per il nome dell’impianto, ha inoltre già abbondantemente ripagato i costi inziali. Il San Paolo invece sappiamo tutti com’è. Metaforicamente distrutto dopo la speculazione, in salsa italiana, di Italia ’90, l’impianto di Fuorigrotta è ormai un peso sia per il Comune che per la SSC Napoli. La disputa tra De Laurentiis e De Magistris riguardo lo stadio va avanti ormai da anni. A tutto ciò si aggiunge anche una legislazione italiana da statuto albertino, che impedisce di attuare ciò che in altre parti d’Europa è ormai realtà. Basti pensare che mentre nella Premier gli stadi di proprietà sono la norma, in Italia, a parte lo Juventus Stadium e prossimamente il Friuli di Udine e il Mapei Stadium di Reggio Emilia, siamo lontani anni luce.
Dove la distanza tra Napoli è Arsenal sembra meno marcata è invece sul fronte della valorizzazione dei calciatori. Le spese folli, quelle di City o Juve, per prendere un esempio per campionato, non sono di certo alla portata di Arsenal e Napoli. I Gunners in per ovviare a ciò hanno dato vita ad un modo di fare mercato che ha fatto scuola. Prendere giovani talenti, anche pagandoli bene, per poi rivenderli nel pieno della loro maturità, incassando soldi da reinvestire su altri giovani. Un circolo virtuoso che ha permesso all’Arsenal di posizionarsi ai vertici del calcio inglese da ben quindici anni. Gli esempi si sprecano, da Herny venduto al Bercellona, a Vieria ceduto alla Juve, passando per Fabregas prelevato a 17 anni dalla cantera blaugrana e rivenduto agli stessi catalani per una 40ina di milioni. Il Napoli su questo fronte non sembrerebbe essere da meno. Cavani e Lavezzi in due anni hanno fruttato quasi 95 milioni sul mercato. E pensare che l’argentino fu preso per circa 6 milioni, l’uruguaiano per 17. Anche qui però sembra trattarsi più di due casi isolati che di una metodica strategia di mercato. Anche attualmente in rosa, se escludiamo Zuniga e Hamsik, non sembrano esserci giocatori in grado di poter far ripetere quanto fatto con Cavani e Lavezzi. Ma cosa più preoccupante, escludendo Insigne, non sembrano esserci giovani talenti in grado di emergere come i vari Fabregas o Henry.
Proprio sul versante giovani arrivano altre note dolenti. Il settore giovanile dell’Arsenal è considerato, a ragion veduta come uno dei migliori d’Europa. E di certo non c’è alcun tipo di timore nel far esordire in prima squadra anche ragazzi di 18-20 anni. D’altronde basta dare una rapida occhiata alla rosa dei Gunners. Wilshere, Frimpong, Gibbs, Gnabry, senza dimenticare Ramsey, preso giovanissimi dopo un match di Youth FA Cup contro il Cardiff. Nel Napoli? Insigne e niente più. Certo, la Scugnizzeria azzurra può annoverare tra le sue fila diversi giocatori di talento. Attualmente in prestito ci sono diversi ragazzi interessanti, così come diversi ragazzini, dalla Primavera ai Giovanissimi, dimostrano di avere del potenziale. Ma tra l’essere dei potenziali campioni e diventarlo ce ne passa. Ed è proprio sul versante del settore giovanile che montano i rimpianti più grandi. L’Arsenal, nonostante la spietata concorrenza dei molteplici club londinesi riesce a scovare, crescere e far esordire alcuni tra i migliori giovani inglesi. Il Napoli, nonostante sia l’unica società di alto livello su di un territorio calcisticamente ricco come quello campano, non riesce ad instaurare un duraturo e decisivo legame tra società e territorio, lasciando che molti talenti campani emigrino al Nord in cerca di fortuna calcistica.
Questione di progetto. E qui entriamo nell’ultima grande differenza tra Arsenal e Napoli. O meglio tra calcio inglese e calcio italiano. Arsene Wenger siede da più di quindici anni sulla panchina dei Gunners, avendo potuto dare vita ad un progetto serio e duraturo. Ci sono stati alti e bassi, stagioni ricche di successi ed altre colme di delusioni. Ma non per questo è mancata al tecnico francese la tranquillità per fare il suo lavoro. Al Napoli su questo dobbiamo dare un piccolo merito. De Laurentiis con l’ingaggio di Benitez ha dimostrato di volersi adeguare a quella che è la mentalità europea. Il progetto Napoli è stato avviato, è agli albori. Ma qui non è tanto ad la società ad essere indietro, piuttosto la mentalità di buona parte di coloro che si definiscono “addetti ai lavori”. Quindici anni d’Arsenal e Wenger continua a lavorare tranquillamente. Un pari casalingo con l’Udinese e Benitez è sotto fuoco incrociato da parte della stampa e dei loro inviati a Castelvolturno. Ora, non sapendo quanto queste critiche siano disinteressate, possiamo solo augurarci che Benitez possa al più presto trovare rimedio tanto agli attacchi degli avversari in campo quanto a quelli dei detrattori fuori dal campo. Se poi vogliamo il 5-3-2, catenaccio, contropiede, palla lunga e pedalare, allora facciamo prima a dimenticarci proprio come si scrive la parola “progetto”
Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
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