Ci siamo. Il Mondiale si avvia verso la sua conclusione. Solo due partite da giocare: la finalina di consolazione tra i padroni di casa del Brasile e l’Olanda, e la finalissima. La partita che vale una carriera, il sogno di ogni popolo. Una Coppa messa lì, a 90’ di distanza. E solo una delle due potrà alzarla al cielo. E il destino ha voluto che a giocarsi questo ultimo atto siano la temibilissima Germania di Joachim Loew, capace di dare 7 palloni al Brasile, e l’ancora indecifrabile Argentina di Alejandro Sabella.
E non è affatto una sfida inedita, anzi. È la terza volta che le due formazioni si affrontano. Mai era accaduto nella storia dei Mondiali. E i precedenti sono chiari: una vittoria per parte. Nel 1986 vinse l’Argentina, nel 1990 la Germania (allora ancora Germania Ovest). Una “bella” insomma. Ma quelle due finali vanno oltre il risultato, raccontano l’inizio e la fine di un’epoca. L’alba e il tramonto di un’era unica ed irripetibile per il calcio: l’era di Diego Armando Maradona.
Del Mondiale dell’86 già ne parlammo in un altro articolo (clicca qui). L’Italia, vincitrice nell’82, abdica abbastanza in fretta, uscendo contro la Francia di Platini. Lo scettro mondiale esige quindi un nuovo padrone. E i più accreditati sono i vice-campioni in carica della Germania Ovest. Brehme, Matthaus, Voeller, Rumenigge, ed in panchina Franz Beckenbauer. Inutile dirlo, uno squadrone. Una vera e propria armata di panzer che, dopo un girone incerto, demolisce le povere nazionali di Marocco, Messico e Francia.
Dall’altro lato un uomo. Anzi, diciamo le cose come stanno: un fuoriclasse. Un fuoriclasse e 10 onesti mestieranti vicino a lui. Ma con Diego Armando Maradona allora anche i mestieranti al suo fianco diventano ottimi calciatori. Una delle nazionali argentine meno forti della storia (Maradona a parte) incanta il Messico. Uruguay, Inghilterra e Belgio cadono sotto i colpi dell’Albiceleste. Ed in ognuna di queste partite Diego è decisivo. Con l’Inghilterra raggiungerà l’apice: prima la celebre Mano di Dios, poi il gol del siglo.
Paradossalmente in finale Maradona non segna. Ma regala perle di grandissimo calcio al pubblico dell’Azteca. Ed anche la temibile Germania, l’armata di panzer che sembrava irresistibile, deve capitolare. Nonostante i tedeschi recuperino due gol di scarto, sarà una rete di Burruchaga, su assisti di Maradona (e di chi altrimenti), a decidere l’incontro. La Coppa, per la seconda volta, si tinge di albiceleste.
Quel Mondiale segnerà l’inizio del periodo d’oro di Maradona. Nei quattro anni successivi Diego riuscirà laddove nessuno aveva neanche osato provare. Porterà il Napoli sul tetto d’Italia prima e su quello d’Europa poi. Il Napoli, per la prima volta, supera i ricchi e potenti squadroni del Nord. La Juve degli Agnelli, il Milan di Berlusconi, ed anche l’Inter dei record. Tutte battute, tutte a guardare le spalle al Napoli e al suo “Dio”, quello con un 10 ben stampato dietro la maglia azzurra.
Ma se il Mondiale del 1986 segna l’inizio della leggenda di Maradona, quello successivo segnerà il suo declino. Ma uno come Maradona non esce di scena in modo banale, non sarebbe da lui. Ed anche nella sua caduta calcistica, Diego riuscirà a lasciare un segno indelebile.
Nel ’90 si gioca in Italia. Notti magiche, l’orribile “Ciao”, e la solita speculazione tutta italiana che accompagna gli appalti dei lavori sugli stadi. Ma parliamo di calcio. Perché quel Mondiale, dalle prime battute, sembra avere un epilogo scritto. Ci sono buonissime squadre: il Brasile di Careca, il sorprendente Camerun di Roger Milla, l’ultima Jugoslavia, quella con Boksic, Savicevic e Davor Sucker, la Spagna di Butragueno e l’Inghilterra di Gary Lineker. Ma ci sono due squadre che sono palesemente le migliori, le più forti. Una, inutile dirlo, è la Germania. Costruita attorno al terzetto dell’Inter Brehme – Matthaus – Klinsmann, i tedeschi sono forti come, se non più, di quelli dell’86. E puntano alla finale. L’altra squadra è l’Italia. Gli azzurri sono un gruppo talentuoso, solido difensivamente e incisivo offensivamente. Hanno grandi campioni come Baresi, Baggio, Maldini e Mancini. Ma faticano, faticano incredibilmente a trovare il gol. Sarà un giocatore a cambiare il Mondiale italiano. Il suo nome è Totò Schillaci.
Con Schillaci l’Italia si trasforma. Qualsiasi pallone tocca l’attaccante siciliano è gol. E così gli azzurri passano il girone ed eliminano Uruguay ed Irlanda. Dall’altro lato i tedeschi fanno fuori Olanda, Cecoslovacchia ed Inghilterra. Per la terza volta consecutiva sono in finale. E quella finale sembra essere scritta: Italia-Germania.
A rovinare i piani italiani c’è, però, lui: Diego Armando Maradona. In realtà la sua Argentina non avrebbe neanche dovuto trovarsi dalla parte del tabellone dell’Italia. Ma, scherzo del destino, un girone di qualificazione disastroso, porterà l’Albiceleste nella parte superiore del tabellone. L’Argentina viene ripescata come migliore terza. E ad attenderla c’è un ottavo di finale da brividi, contro il Brasile dell’altro fuoriclasse del Napoli: Careca. Pochi, forse nessuno avrebbero scommesso in un bis mondiale dell’Albiceleste. L’Argentina del ’90 è meno forte di quella dell’86, ma ha pur sempre Maradona. Non stiamo neanche a dirlo: assist di Diego, gol di Caniggia e Brasile a casa. Nei quarti sotto con la Jugoslavia. Una squadra fortissima: Savicevic, Sucker, Bocksic. Se le tragiche circostanze politiche non avessero distrutto quel paese forse qualche ottimo piazzamento mondiale quella Jugoslavia, durante gli anni ’90, l’avrebbe centrato.
Con l’Argentina però la Jugoslavia è eliminata. E l’eroe stavolta non è Maradona, ma un certo Sergio Goycochea. Goycochea non è neanche il titolare di quell’Argentina. Lo diventa dopo che Pumpilo si distrugge tibia e perone nella partita contro l’Unione Sovietica. Goycochea gioca in Colombia, nel Millionarios, e in Europa arriverà solo nel ’92 per una breve e deludente parentesi al Brest. Non è un grande portiere, ma una cosa la sa fare bene: parare i rigori. E, per il momento, questo basta. Argentina batte Jugoslavia ai calci di rigore.
La semifinale contro l’Italia è alle porte. E gli dei del calcio decidono di usare tutta la loro ironia per rendere quella partita indimenticabile. Dodici stadi, dodici città, ma il destino volle che quella partita si giocasse a Napoli. Nella Napoli di Maradona. E noi a Napoli, appena si parla di Maradona, eliminiamo qualsiasi cosa di razionale abbiamo in testa e usiamo solo il cuore. Risultato? La partita si giocò in un clima irreale. Il San Paolo letteralmente spaccato. Da una parte chi tifava per l’Italia, dall’altro chi tifava per l’Argentina. O meglio, chi tifava per Maradona. E lo stesso Diego, in modo molto furbo, seppe toccare, prima della partita, le corde giuste.
“Chiedono ai napoletani di essere italiani per una sera quando per 365 giorni all’anno li chiamano terroni”
Metà stadio esultò al gol di Schillaci, l’altra metà a quello di Caniggia. E il dramma sportivo raggiunto dopo gli errori di Serena e Donadoni ai rigori fu il contraltare delle gioia per le parate del solito Goycochea. Il resto d’Italia non digerirà mai quell’eliminazione, non sopporterà l’ultima stoccata del “napoletano” Diego. E la conferma si ebbe all’Olimpico di Roma per la finalissima. I vergognosi fischi che il pubblico romano riservò all’inno argentino e il celebre “hijos de puta” di Maradona furono solo il prologo di una partita che in Argentina vivono ancora come un furto. Il rigore di Brehme, più che dubbio (anni dopo ad ammetterlo sarà lo stesso tedesco), tolse all’Albiceleste la possibilità del terzo mondiale.
Maradona, senza mezzi termini, parlò di furto. Accusò, senza peli sulla lingua, la Fifa e l’organizzazione del Mondiale italiano. A suo avviso aveva rovinato la “festa”, la finale programmata tra Italia e Germania. E per questo gliel’avrebbero fatta pagare. Fatto sta che quello del ’90 fu l’ultimo grande Maradona. Nel giro di un anno tutto crollò. Quel controllo antidoping dopo la gara con il Bari, con più ombre che luci, e il Mondiale ’94, l’estremo tentativo di Maradona di riprendersi ciò che gli tolsero nel ’90. Finì mestamente, con il più grande di tutti i tempi accompagnato fuori dal campo da un’infermiera americana. E l’Argentina lasciata con l’amaro in bocca. Per 24 anni a ripensare a quella finale all’Olimpico, a quel rigore a loro avviso inesistente.
Se c’è una regola nel calcio è che, anche dopo la sconfitta più bruciante, ci sono sempre altri 90 minuti. Ed un’altra occasione, un’altra possibilità. Anche se dovessero passare 24 anni.
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Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
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