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Alla scoperta del modello Empoli. Puntare sul vivaio conviene sempre, anche senza riforma…

Un mix di esperienza, giovani del vivaio e stranieri di valore. A dimostrazione che in Italia, più che le regole sulle rose, è mancata la volontà di puntare sui vivai

La riforma delle rose recentemente approvata dalla Figc potrebbe avere sul campionato italiano un effetto quasi rivoluzionario. Certo non è, fortunatamente, quella totale chiusura agli stranieri che molti “nazionalisti” speravano, ma non è neanche, purtroppo, un definitivo input alla valorizzazione dei vivai dei club. Diciamo che, in pieno stile italiano, si è cercato più di non scontentare nessuno piuttosto che imprimere una svolta ad un decadente panorama calcistico.

Quattro giocatori provenienti dal vivaio e quattro cresciuti in un vivaio italiano. Il tutto in una rosa composta da venticinque calciatori. E tutte e venti le squadre della Serie A già pronte a cambiare il loro mercato di gennaio per non farsi trovare impreparate in vista di giugno quando, gioco forza, in base ad elementari leggi economiche, il prezzo dei giocatori italiani (a causa dell’obbligo di doverne avere almeno quattro oltre ai “tuoi” del vivaio) si inflazionerà, costringendo i club a pagare più del dovuto un qualsiasi carneade tricolore.

E fa pensare molto il fatto che al momento la stragrande maggioranza delle squadre non ha la rosa idonea a disputare la prossima Serie A. Si va da chi supera il limite dei venticinque, con rose extra large anche di quasi quaranta elementi, a chi (come il Napoli  o l’Inter), pur potendo richiamare diversi giovani del vivaio, ha la assoluta necessità di comprare qualche italiano.

In questo desolante panorama la mosca bianca sembra essere l’Empoli. Pochi stranieri, di cui la maggior parte, come il venezuelano Signorelli e il georgiano Mchelidze, sono cresciuti nel vivaio del club, e qualche prestito di giovani interessanti, come Laxalt e Vecino. Il tutto ben amalgamato in un gruppo giovane, guidato da un tecnico atipico, uno di quelli che viene dalla “gavetta”, quel Maurizio Sarri che tanti elogi sta ricevendo in questo inizio di campionato. Insomma una squadra ben amalgamata, pronta a far rivivere ai toscani i fasti della stagione 2006/07, chiusa al settimo posto.

Ma da dove nasce questo secondo “miracolo” empolese? Nasce proprio dal fallimento sportivo della stagione successiva. Nel 2007/08 i toscani, ritrovatisi in una dimensione a loro sconosciuta, con un gioco troppo catenacciaro e poco adatto a reggere su più fronti, disputarono un campionato e una Coppa Uefa disastrose, deludendo su tutta la linea e chiudendo al 18° posto. Il che significa Serie B. Si susseguono un paio di stagioni opache, tra play-off sfiorati e cambi in panchina. Fino a che l’ambiziosa rosa costruita per la stagione 2011/12 non arriva ad un passo dalla retrocessione in Lega Pro.

Il salvataggio di Dossena su Paolucci nel play-out contro il Vicenza (peraltro inutile visto l’ennesimo ripescaggio dei veneti) fa capire al presidente Corsi che bisogna invertire la rotta. Da lì la risalita. Il metodo è semplice: giovani del vivaio affiancati da giocatori di esperienza. Così accanto agli evergreen Tavano e Maccarone cresce una nuova leva di talenti. Da Saponara, subito prelevato dal Milan, fino a Rugani, Puccianelli e Tonelli. E anche quando, logicamente per una neopromossa, l’Empoli ricorre al prestito da altre squadre, lo fa per elementi di sicura prospettiva, come Sepe del Napoli o Verdi del Milan.

Insomma la dimostrazione che, anche senza le regole imposte, senza i 4+4 e senza uscite del tipo “fuori gli stranieri dal nostro calcio”, è possibile creare, anche in Provincia, anche in club più ricchi, un giusto mix tra giovani del vivaio, giocatori di esperienza e stranieri di prospettiva e di assoluto valore. Forse a dimostrazione che nel calcio italiano più che le regole limitative e gli isterismi patriottici post figuraccia ai Mondiali, a mancare era soprattutto la volontà, e non la possibilità, di voler puntare sui giovani e sui vivai.

Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio

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