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Africa, Ebola e pallone. La psicosi europea e una Coppa d’Africa in dubbio in un continente dalle mille contraddizioni‏

Il Marocco rinuncia ad ospitarla, la Caf spinga per giocarla. Il tutto in un continente in cui l'Ebola è solo l'ultimo di mille problemi

Coppa d’Africa si, Coppa d’africa no.  La Caf vuole giocarla a tutti i costi, l’ha ribadito un’altra volta. Il Marocco, paese designato ad ospitare l’edizione 2015 si tira indietro. Troppo alto il rischio Ebola, troppo pericoloso mobilitare un continente intero, aprire le proprie frontiere a tifosi, giornalisti e calciatori, nel bel mezzo di un’epidemia. Condivisibili le remore marocchine, ma la Caf va avanti. “Questa competizione sa da fare!”

E dall’altro lato del Mediterraneo l’Europa, da quest’anno  spettatrice interessata. La psicosi dell’Ebola fa si che quella competizione tanto snobbata, semplice fastidio a causa dei giocatori che devono partire a gennaio, acquisti spazio e visibilità sui giornali. C’è timore, tanto timore che l’epidemia possa attraversare il Mediterraneo. E così dalla parti di Dortmund già fanno sapere che il loro Aubameyang  non si aggregherà alla sua Gambia per i match di qualificazione contro Angola e Lesotho.

E siamo pronti a scommettere che questo sarà solo il primo di una lunga serie di “No!”. Aubameyang, il Marocco, e quelle qualificazioni che potrebbero essere invalidate da altri rifiuti. L’Europa guarda da diretta interessata. Lo stesso Napoli attende di capire cosa sarà dell’Algeria di Ghoulam e del Ghana dell’obiettivo di mercato Ayew. Un problema, la Coppa d’Africa, che si intreccia con altri problemi, dal frivolo mercato di gennaio alla più seria salute dei calciatori.

Ma già l’abbiamo detto, the show must go on, è l’ordine della Caf. E se il Marocco si tira indietro pronte l’ ipotesi Sudafrica (che ha già le strutture del Mondiale 2010) e quella suggestiva del Qatar. La Coppa d’Africa è importante, fa girare soldi, sponsor, dà visibilità ad un intero continente. È la vetrina per giovani calciatori che sognano un biglietto di sola andata per qualche campionato europeo.

E il discorso della Caf, in fondo, non è poi così sbagliato. Al di là dalla psicosi mediatica di questi ultimi mesi, l’Ebola esiste da almeno un quarto di secolo. Le prime epidemie sono state registrate già negli anni ’80, e con molta probabilità il virus esisteva già negli anni ’70. E in un continente che ha ancora altissimi tassi di mortalità per la malaria, ed anche per una semplice influenza, l’Ebola diventa semplicemente l’ennesima sciagura di un destino infausto.

Volendo “polemizzare” si potrebbe dire che la psicosi è tutta europea. Infatti, non appena dai villaggi il morbo è passato alla grandi città, con conseguente possibilità di arrivare anche in Europa, ecco che nel Vecchio Continente è scattato il panico. D’altronde lo stesso Marocco, pur essendo geograficamente in Africa, per cultura e storia è certamente più europeo che sub-sahariano, e di conseguenza ragiona “da europeo”

Resta ben inteso che qualora le remore dell’Europa e del Marocco si mostrassero fondate, rinviare la competizione sarebbe scelta non solo giusta, ma anche l’unica sensata possibile. Con buona pace di Caf, sponsor e televisioni. Ma si sa, quando qualcosa succede in Africa, tutto diventa più contraddittorio, tutto sembra assumere secondi e terzi fini.

In un continente che, dopo secoli di colonialismo europeo, sta faticosamente strizzando l’occhio ai nuovi centri di potere di Pechino e Mosca, cercando al contempo di scrollarsi di dosso gli ingombranti diktat del neolibersimo americano. In un continente in cui le multinazionali occidentali fanno ancora il bello e cattivo tempo a livello politico, fomentando colpi di stato e gestendo il potere con il pugno di ferro della corruzione.  In un continente che vede oltre metà della popolazione sotto la soglia della povertà, diviso tra le guerre civili e non, con la Nigeria che brucia sotto i colpi del fondamentalismo di Boko Haram, l’Egitto funestato dalle “primavere arabe” che di popolare (dopo lo slancio iniziale) hanno ben poco e la Libia scossa dal caos cretosi nel dopo Gheddafi. In un continente in cui l’Aparheid sudafricano è solo cambiato, passando dall’avere come discriminante il colore della pelle (bianco o nero) ad avere come discriminate il colore del conto in banca (verde o rosso). In un continente in cui malaria, hiv, dissenteria e anche una semplice influenza fanno ogni giorno più morti dell’Ebola. In un continente come questo, chiamato Africa, anche una semplice Coppa di calcio può e sta diventando un caso internazionale!

Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio

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