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Mancini, il “finocchio” e il circo mediatico. Ma davvero non abbiamo altro di cui parlare?

Sarri sbaglia, Mancini ne approfitta e il circo mediatico italiano ci sguazza. Il rumore di un "finocchio" nell'Italia del politicamente corretto

Nel corso di una partita l’agonismo esasperato può portare a momenti di tensione e di grande nervosismo. Credo che anche qualche insulto ci possa stare. L’importante è che tutto finisca lì”

Premessa: Sarri ha sbagliato. Ha sbagliato non tanto nell’insultare Mancini, ma piuttosto nel categorizzare come “insultante” un qualcosa (l’essere omosessuale) che di per se non dovrebbe avere nulla di denigratorio.

Ora però, al netto della tirata d’orecchie (necessaria) al mister di Figline Valdarno, sorge spontanea una domanda: ma non stiamo forse un po’ esagerando? O meglio non stiamo dando un significato sbagliato ad un evento che, per quanto deplorevole, può essere sempre circoscritto alla dimensione del “fatto di campo”? Il circo mediatico italiano oramai è partito, messo in moto dell’ennesima “mezza-notizia” che può far infervorare le masse. Corre spedito come un treno (ah, se i treni fossero veramente così puntuali anche nella realtà), cercando di pompare l’indignazione e creare partiti e partitini. La ghigliottina per Sarri è stata messa in bella vista nella piazza mediatica centrale (forse c’era già da tempo, erano solo in attesa di spolverarla ed usarla) e il popolo-telespettatore è pronto a gridare la sua indignazione. A lanciare virtualmente ortaggi sul patibolo, solo perché lo sta facendo il tizio alla sua destra, senza neanche domandare o domandarsi il perchè quell’uomo verso il quale sta indirizzando tanto odio è colpevole.

Mancini è una persona troppo intelligente. E non potrebbe essere altrimenti viste le relazioni mediatiche che in questi anni è riuscito a coltivare e che gli hanno permesso di essere sempre sulla cresta dell’onda. Troppo intelligente per non cogliere al volo l’errore di Sarri. Parimenti noi riteniamo intelligenti i nostri lettori e siamo sicuri che ben pochi di voi hanno veramente creduto alla storia del Mancini offeso e paladino dei diritti degli omosessuali. L’atteggiamento del “Maestra Maurizio mi prende in giro” aveva ed ha la funzione di far parlare più del personaggio che l’ha commesso che del gesto in se.

Ripetiamolo per onor di chiarezza. Il gesto di Sarri è sbagliato e in un certo senso Mancini potrebbe anche aver ragione nel mettere in mostra la sua “dignità lesa”. I romantici del calcio, ma anche quelli che il calcio l’hanno vissuto nei campetti di periferia, sanno che esiste, da che mondo e mondo, una regola non scritta: ciò che accade in campo, resta in campo. Nei 90′ di gioco l’insulto è connaturato alla stessa natura del gioco, è parte dell’agonismo. E chi ha vissuto la provincia calcistica (come Sarri) sa che quasi sempre lascia il tempo (quello di gioco) che trova. Ciò che però Sarri non sa è che l’ambiente del calcio “da camicia” segue altre logiche, più vicine alla società mediatica rispetto a quella, passatemi il termine, reale. Logiche che Mancini, uno che di campi polverosi poco se ne intende, conosce invece molto bene.

Sarri è colpevole, ma un colpevole ingenuo. Mancini è vittima, nessuno lo nega, ma una vittima che sa bene come funzionano le cose. Il primo è totalmente estraneo al circus mediatico, il secondo si trova a proprio agio. Sarri ha offerto a Mancini l’occasione sul piatto d’argento. E i media non aspettavano altro. È la non-notizia che fa notizia, che, come detto in precedenza, infervora le masse.

E in un paese dove l’apparenza e il politically correct contano ormai più della sostanza il circo mediatico non aspettava altro che questo assist per poter (non)dire la sua. Sarebbe troppo facile portare degli esempi. Solo qualche giorno fa l’allenatore del Genoa Gasperini ha pubblicamente accusato alcuni ultras del Grifone di essere contro la squadra. Un’accusa grave che però nel malato mondo dell’informazione italiana ha trovato poco spazio. Poco appetibile? A giudicare dai pochi “Je suis Gasperini” di questi giorni in televisione e sui giornali siamo a portati a dire di si. Forse non si prestava al dibattito? Forse il Genoa non ha lo stesso appeal di un Napoli-Inter? O forse non è un argomento in grado di scaldare abbastanza la pancia dei tifosi-lettori?

Nel paese nel quale è pubblicamente sbagliato dire “nero”, ma nel quale nessuno muove in dito nell’istante in cui quei “neri” raccolgono pomodori ad 1.50€ l’ora anche il calcio e i suoi protagonisti si adeguano. E tutti sono in spasmodica attesa dell’errore, di quello che esce dal recinto del finto buonismo di facciata per poter dire “tu sei il cattivo”. È così, la società del buono a tutti i costi paradossalmente è quella che ha meno tolleranza per l’errore, per lo sbaglio. Vive col pensiero di trovare qualcuno peggiore, qualcuno che sbaglia, qualcuno che esce dalla “retta via”. Perchè dire ad un altro sei il cattivo porta implicitamente a distinguerlo da te, dai tuoi, da quelli che quel cattivo lo stanno condannando. Il problema nella società del politicamente corretto a tutti i costi è però un altro: è vero che lui è il cattivo, ma tu, dall’altro lato, non stai facendo nulla di concreto per essere il “buono”.

A proposito, quasi dimenticavo: la frase riportata ad inizio articolo è stata detta da Roberto Mancini dopo un Lazio-Arsenal in cui Sinisa Mihajlovic insultò in modo razzista Patrick Vieira. Il segno che col tempo, le idee su certi argomenti cambiano.

Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio

 

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