Protagonista della nuova intervista che proponiamo nella rubrica “Uno su mille ce la fa” è un altro giovane aspirante calciatore sfornato dalla scuola calcio “Luigi Vitale” di Casoria; Tommaso Grillo, esterno offensivo classe 1990 del San Giorgio, squadra dell’Eccellenza campana, nonostante la giovane età, ha una notevole esperienza nel calcio dilettantistico e professionistico, e si dimostra maturo nelle risposte, in equilibrio costante tra la voglia di realizzare il suo sogno e la concretezza nel tenere i piedi ben saldi in terra.
Quando hai iniziato a giocare a calcio e quali sono state le tue esperienze in quest’ambito fino ad oggi?
Ho iniziato all’età di 5 anni nella scuola calcio “Luigi Vitale” e dopo qualche anno sono passato al Picentia, una squadra selettiva di Salerno; a 14 anni mi sono trasferito a Pescara per giocare nella Renato Curi Angolana, dove sono stato 2 anni e ho vinto un titolo regionale. All’età di 16 anni sono passato alla Cavese dove ho fatto gli allievi nazionale e sono stato solo 6 mesi. Finito l’anno sono andato ad Avellino dove ho fatto Allievi e Berretti Nazionale. All’età di 17 anni sono passato alla Viribus Unitis, serie D, e sono stato sempre nell’ambito della prima squadra; successivamente sono stato a Bolzano, serie D, e lì ho vinto una Coppa Italia. Dopodiché sono tornato a Napoli e sono stato con l’Internapoli, sempre in serie D, e adesso gioco con il San Giorgio in Eccellenza.
Come mai dopo le varie occasioni in serie D, ti sei ritrovato a scendere uno scalino e tornare quest’anno in Eccellenza? C’è stato un motivo in particolare?
Ho incontrato persone sbagliate sulla mia strada, soprattutto procuratori che ritenevano più importante la loro carriera piuttosto che la mia; aspetto che finisca quest’anno per cercare di risalire in D.
Quando e perché hai scelto di intraprendere questo tipo di carriera?
Ho sempre amato giocare a calcio, sin da bambino. Forse ce l’avevo nel sangue, perché mio padre è stato un calciatore e ha avuto grandi soddisfazioni, giocando per 4 anni con la sua squadra, il Napoli. Credo che in qualche modo io abbia seguito la sua scia ma senza nessun tipo di forzatura; semplicemente perché mi è sempre piaciuto il calcio sia in quanto gioco che come sport da praticare.
E un domani saresti felice che tuo figlio scegliesse di seguire questa strada, portando avanti questa che sembra a tutti gli effetti una tradizione di famiglia, oppure preferiresti che scegliesse un campo meno difficile e “affollato”?
Mi piacerebbe che mio figlio intraprendesse la strada che desidera. Ovviamente non nascondo che sarebbe bello se diventasse anche lui un calciatore ma il calcio deve essere, prima di tutto, una grandissima passione, perché comporta così tanti sacrifici che non si può scegliere questa strada se non si è spinti da una fortissima motivazione. Quindi solo lui, o, perché no, lei, saprà cosa fare e io sarò al suo fianco in qualsiasi caso.
Avendo vissuto sia la realtà del calcio dilettantistico, che professionistico, anche se non direttamente, quali sono le differenze più evidenti che hai riscontrato fra le due categorie?
Se giochi con i professionisti vieni trattato da tale, quindi non ti fanno mancare mai nulla, mentre con i dilettanti, devi adeguarti alla categoria e ci sono continuamente problemi di vario tipo, soprattutto dal punto di vista economico e organizzativo.
Il ricordo più bello e quello più brutto da quando hai iniziato a giocare a calcio.
Sono entrambi legati alla mia permanenza a Pescara: il più bello, ovviamente, quando mi hanno scelto; non stavo più nella pelle e non vedevo l’ora di trasferirmi lì. Il più brutto quando ho dovuto lasciare la squadra.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Il sogno più grande è quello di arrivare a livelli alti con il calcio, ma se non dovessi riuscirci sono fermamente deciso nel voler restare in quest’ambito; vorrei prendere il patentino da allenatore e ottenere soddisfazioni anche fuori dal rettangolo di gioco.
Onestamente, credi che il guadagno dei calciatori sia troppo alto? E a tuo giudizio, se non ci fosse la prospettiva di un tale guadagno, ritieni che il numero dei ragazzini che sognano di diventare calciatori rimarrebbe invariato?
Io penso che nel calcio ci sia un giro di soldi inestimabile e gli stipendi dei giocatori sono una conseguenza al denaro che circola in questo mondo. Penso sia assurdo, ed è ancora più assurdo che giocatori e procuratori chiedano sempre di più, senza accontentarsi mai. Per quanto riguarda quelli che scelgono come me di intraprendere quest’attività, credo che il denaro sia l’ultimo fattore che possa influenzare la scelta di un bambino di 5 o 6 anni; crescendo, ovviamente, il guadagno diventa importante perché purtroppo non si vive solo di sogni.
Se fosse in tuo potere farlo, cambieresti qualcosa del mondo del calcio?
Cambierei soltanto i contratti dei giocatori e dei manager, stabilendo un tetto ragionevole degli ingaggi e cercando di rispettarlo.
A cura di Marianna Acierno
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