Sarà uno stadio molto milanese. Capace di interpretare, come mai accaduto prima, nel profondo l’identità di una città: sobrio ma super moderno, discreto ma prestigiosissimo, pensato in ogni dettaglio per essere continuamente proiettato nel futuro. È la grande scommessa del Milan, è il sogno di Barbara Berlusconi che prende forma (da ieri c’è anche il plastico) e sul quale Fondazione Fiera potrebbe decidere entro il 10 marzo. Il futuro che bussa alla porta: un’arena smart, cittadina, somigliante a un isolato urbano più che a uno stadio di tipo tradizionale. Non sarà un colosseo o un maxi impianto che calerà come un extraterrestre nel cuore di Milano, ma un’arena che intende diventare un pezzo della città, per armonizzarsi in maniera sostenibile nel cuore della city. Perché, d’accordo che il Meazza è la storia, le Coppe dei Campioni, la testimonianza scritta nell’acciaio di campioni, allenatori, ricordi. Ma la nuova casa del Diavolo al Portello, di fronte a Casa Milan, è un bivio ormai inevitabile, una scelta necessaria che trasuda d’innovazione. Il crocevia di una svolta storica.
Prima ancora delle scelte di architettura, c’è un elemento che renderà questo impianto «un luogo unico al mondo», così definito dal Milan. È la filosofia: una prova di futurismo delle infrastrutture sportive, che intende fare di questo impianto uno dei punti di riferimento al mondo nel modo di concepire le arene sportive. Non sarà solo uno stadio, o forse questa sarà la sua ultima funzione. Sarà a tutti gli effetti uno spazio, un luogo, un pezzo della città di Milano. Come le sue palazzine liberty, i suoi monumenti, i suoi grattacieli. E poco impattante: non più alto di 30 metri (il Meazza va oltre i 60), rispettando i limiti di altezza dei palazzi esistenti, una struttura paesaggisticamente non invasiva con portici, strutture leggere e trasparenti, progettata dalla britannica Arup (leader nel settore) con la collaborazione del Politecnico di Milano. «A differenza dei primi stadi, che erano solo dei contenitori di spettatori, e degli stadi britannici degli anni 90 aperti 7 giorni – spiega l’ingegnere Maurizio Teora, direttore di progetto di Arup -, questo impianto ci poterà nella terza era degli stadi: integrerà le sue funzioni sportive e d’intrattenimento, sempre attive, con la vita e le esigenze della città. Associando le funzioni tipiche di uno stadio alla vita del quartiere, come ad esempio per l’albergo». Il progetto non dovrà solo convincere i vertici di Fiera, ma dovrà superare anche l’esame dei residenti della zona, preoccupati, e sul punto di riunirsi in comitati no-stadio: hanno pronti 5mila volantini.
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