Giovanni Trapattoni torna a parlare: ospite di Che tempo che fa su RaiTre, ilTrap è stato intervistato da Fabio Fazio. Tanti elementi di vita personale, a partire dal titolo del suo libro Non dire gatto: “Questo titolo arriva dal fatto che, figlio di contadini, i gatti erano sempre in giro e quindi scappavano sempre, perché erano agili. C’è stata una stagione in cui eravamo primi in classifica alla terz’ultima gara e tutto sommato pensavamo di poter già festeggiare, ma io ho detto di non dire gatto se non ce l’hai nel sacco. Detta in tedesco è stata dura”.
Per un ragazzo di provincia come te, aver girato il mondo non è stata una cosa
“Sì, penso a quando durante la guerra i tedeschi erano con i cannoni fuori dal mio cortile, poi sono stato chiamato in Germania”.
Quando dici certe cose, ridi già prima di dirle?
“No, mi vengono così, di strafalcioni ne ho fatti tanti. Penso a quello con Strunz: con i tedeschi bisognava picchiare sulle orecchie così almeno capiscono la verità”.
È vero che non hai mai detto la verità a un giornalista?
“È vero che le cose scritte vengono ingigantite per fare la notizia, nel mio spogliatoio avevo tanti gatti da non andare contropelo, bisognava essere cauti”.
Nel calcio gli allenatori parlano sempre bene dello spogliatoio.
“Perché pensiamo tutti di avere un elisir, sappiamo che se sono stati cambiati i colleghi in precedenza le cose andavano male e quindi ci tocca mettere le cose in ordine. Io devo dire che solo una volta ho capito che tirava una brutta aria, sia nello spogliatoio che con la dirigenza, ho pensato che fosse il caso di andare via”.
Il tuo fischio famoso arriva da tuo padre?
“Sì, perché la seconda volta che fischiava erano botte, quindi dovevo scappare per evitarle. Lui da buon bergamasco non vedeva di buon occhio il calcio, anche perché rompevo spesso le scarpe e non avevamo tanti soldi: di botte ne prendevo tante, meno male che correvo forte. Poi pensava che rovinasse la salute, ora si dice che fa bene sudare ma allora diceva che mi sarei ammalato e avremmo dovuto spendere altri soldi”.
Proprio per la sua diffidenza, il destino ha fatto sì che non ti abbia mai visto con la maglia del Milan.
“Sì, quando giocavo nella zona di Cusano veniva dietro la rete, ma quando mi toccava esordire avevo detto a mia madre di non dirlo a papà perché avrebbe potuto vedere qualcuno che mi insultava. Mi disse che non avrebbe avuto la fortuna di vedermi, due giorni dopo morì di infarto”.
Tutti dimenticano i tuoi trascorsi di calciatore, tu li ricordi?
“No, ritengo di aver fatto una carriera disciplinata e diligente, non ero molto creativo, ma questa è stata una fortuna perché mi ha tenuto aperto dei canali che mi hanno fatto girare per i vari Paesi d’Europa e del mondo”.
Hai simpatia per gli estrosi?
“Sì, per Platini morivo di notte. Di notte camminavo nei corridoi perché lui era ansioso e non dormiva, ma poi in campo era strepitoso. Facevo il finto burbero con lui, perché poteva permettersi cose che altri non potevano: ad esempio fumava molto, io lo sapevo e lo controllavo. Magari i giocatori scappavano dall’albergo per andare a vedere se c’era qualche gatta in giro. Quando l’ho visto che fumava gli ho detto di non fumare, lui mi ha detto ‘mister, ma io non ho bisogno di correre, lo dica ad altri’. Per fortuna in italiano, perché il mio francese è limitato”.
Come allenatore, da dove si inizia ad allenare?
“Dalla testa, i campioni devono usare l’intelligenza sul campo, tant’è che Platini ad esempio l’ho rimproverato ma lui ha capito perché era intelligente e poi era d’esempio per gli altri. Le gelosie in un gruppo sono tante, purtroppo in una squadra di calcio serve equilibrio e tutti sperano che il rimproverato sia il più bravo”.
Come è andato il rapporto con Luciano Moggi?
“Moggi quando venne alla Juve era abituato a gestire la parte tecnica: io gli ho detto di fare il dirigente e che io avrei fatto l’allenatore. Poi lui è rimasto e io sono andato via”.
Se ti facessimo rivedere la partita contro la Corea del 2002, come la commenteresti?
“In quell’occasione (l’espulsione di Totti, ndr) Totti fu espulso al primo rimbrotto, gliene dissi di tutti i colori e lui si mise a ridere. Il segretario generale della Fifa era lì vicino, mi aveva detto che mi avevano mandato uno buono, diedi tre cazzotti al vetro che mi separava da lui”.
Cosa provasti quando vincesti la Coppa dei Campioni con il Milan?
“Fummo la prima squadra italiana a vincere la Coppa dei Campioni, loro (il Benfica, ndr) erano campioni in carica, un certo Eusebio, la pantera nera, era uno che ti piantava lì quando tentava lo scatto. Io in quel periodo non ero bravo, ma sono stato legato per la corda a quelli più bravi, questa è stata la mia fortuna. Pensavamo che questa partita finisse in un certo modo, nel secondo tempo ci siamo ripresi molto bene e Altafini ha fatto un grandissimo gol con l’aiuto di Rivera”.
Qual è il giocatore più forte che hai allenato?
“Platini, senza dubbio”.
L’allenatore più bravo?
“Niels Liedholm mi ha insegnato molto”.
Chi vince lo scudetto?
“Se sono ammesse bugie, penso che alla fine lo vinca la Juve”.
fonte: tmw
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