Domani pomeriggio, nel primo Clasico della stagione, il primo per Martino e Ancelotti, si incontrano due squadre altamente imperfette, due squadre a metà strada fra ciò che erano e ciò che diventeranno o vorrebbero diventare. E’ quanto affiora dall’ultima giornata di Champions, dove Barcellona e Real Madrid hanno incontrato gli avversari più impegnativi non solo del girone, ma di tutta la stagione. Cerchiamo di capire cosa è successo e cosa potrà succedere.
IL CASO-BARCA – Un tempo, potevi anche alzare una diga davanti al Barcellona, ma 9 volte su 10 non serviva a niente. Un tempo, il Barça portava il suo palleggio a pochi metri dall’area avversaria e alla fine trovava il pertugio. Spesso lo trovava Messi, come del resto è successo anche martedì sera a San Siro. Messi è il topolino che, col formaggino in bocca, si infila nelle fessure di ogni parete e, al di là del muro, trionfante se lo gusta. Per chi ha figli piccoli, o per chi ama i vecchi cartoni animati, Messi è Jerry e la difesa avversaria è Tom. Da un paio di mesi, però, il fenomeno argentino non gioca sul suo solito irraggiungibile livello e questo rimette in discussione, anche se solo in parte, l’intera opera di Guardiola: senza quel Messi stratosferico, il Barcellona sarebbe arrivato fin dove è arrivato?
Col passare del tempo e delle vittorie, l’animo spettacolare della più bella e più forte squadra del nuovo millennio sta cambiando. E’ in atto un processo, iniziato la stagione scorsa con Tito Vilanova, per portare il Barcellona verso una nuova dimensione calcistica, nuova per il Barça ma non per tutte le altre squadre. Martino sta cercando di aggiungere delle varianti al possesso palla che, mentre sfibrava gli avversari, piano piano logorava anche gli stessi catalani. Era la ripetitività a consumarli. Vorrebbe arricchire il piatto con un po’ più di intensità, qualche lancio lungo, qualche ripartenza, ma per adesso il risultato è un ibrido. Il Barcellona non terrorizza più gli avversari col suo micidiale possesso palla, finalizzato al dribbling decisivo di Messi o all’imbucata esterna (Dani Alves) e centrale (Iniesta) e non è ancora troppo incisivo nelle ripartenze. Una via di mezzo, un ibrido, appunto, un po’ diesel (possesso di palla lento), un po’ benzina (ripartenza). La forza del Barcellona era la sua prevedibile imprevedibilità: tutti sapevano che avrebbe giocato tenendo la palla per 70 minuti su 90, ma quasi nessuno riusciva a trovare l’antidoto. Adesso non è più così. In passato avevamo visto l’Inter (perdendo, ma qualificandosi per la finale di Champions) resistere al Barça al Camp Nou con una partita difensivamente perfetta. Ma quell’Inter, nel 2010, aveva Julio Cesar in porta, Maicon, Lucio, Samuel e Zanetti in difesa, più uno straordinario Cambiasso a chiudere ogni varco; il Milan ha strutturalmente una difesa molto meno affidabile di quella interista e un sistema difensivo meno efficace, se è vero che in 8 partite di campionato ha preso 13 gol. Eppure è bastato questo Milan a neutralizzare il Barça. Allegri, consapevole dei limiti della sua squadra, ha incollato una linea sull’altra, ha alzato il muro e il Barcellona, che ha avuto un possesso palla del 63 per cento, è andato a sbatterci. Il suo possesso era lento, monotono, quasi finalizzato a se stesso, ricordava quello della Roma di Luis Enrique. A San Siro il Barcellona ha segnato con un contropiede corto ed è andato vicino al gol con un lancio lungo (di Messi) non sfruttato da Adriano, segnali evidenti del tentativo di cambiare rotta. Ma la sensazione che da anni accompagnava gli spettatori delle gare del Barça, “ora fanno gol”, è evaporata. Per la bravura difensiva del Milan, ma anche perché il Barcellona non ha più il marchio di un tempo ed è ancora alla ricerca di quello nuovo.
IL CASO-REAL – E’ lo stesso discorso che si può fare del Real Madrid dopo averlo visto in difficoltà di fronte alla Juve in 10. Difficoltà di gioco. Ancelotti ha detto che sta cercando di fare qualcosa di diverso rispetto al Real di Mourinho, portando più possesso palla (il percorso opposto del Barcellona), ma per ora non si vede. Non emerge la qualità del collettivo e a tratti nemmeno quella dei suoi fantastici interpreti, Ronaldo escluso. Già, anche il Grande Duello, alla vigilia del Clasico, sembra capovolto: Cristiano sta meglio di Leo.
Alberto Polverosi per il Corriere dello Sport
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