Non è solo cerchiobottismo: un elogio e uno schiaffo, uno schiaffo e un elogio. È, piuttosto, la perenne oscillazione tra due opposti stereotipi, tra due oleografie intrecciate: quella delle strimpellate di mandolino, del paradiso, e quella delle pistole puntate, dell’inferno. Insomma, il paradiso abitato da diavoli che ci trasciniamo appresso dal Cinquecento, da Bernardino Daniello, che per primo coniò la definizione, falsamente attribuita a Goethe, di «questo paradiso ad habitare a diavoli» per fare il paio con «Vedi Napoli e poi muori». Ormai, purtroppo, si muore solo di noia e di assuefazione, a furia si sentir ripetere luoghi comuni di segno opposto, ma tendenti al nero, alla camorra, alla violenza, a tutto l’armamentario voluttuario che fa prima polemica e poi cassetta.
Appena qualche giorno fa il quotidiano inglese «The Guardian» esaltava Napoli come città in crescita, dove si stavano realizzando le «magnifiche sorti e progressive», adesso, smaltita l’euforia, è arrivata, sempre dal medesimo giornale, la doccia fredda: la città è la «roccaforte della mafia». Una carezza e un pugno: un montante a forma di articolo sportivo sull’interesse del club azzurro per l’attaccante del Manchester United, Danny Welbeck. Immediata la replica del Calcio Napoli che ha bollato la definizione come «un luogo comune così arcaico da essere rigettato dagli stessi inglesi che vengono ogni anno in Italia, Napoli inclusa, a passare le vacanze». Tra l’altro è una storia che torna a galla con periodicità molesta. Per dire, ricordando un episodio neanche tanto vicino, quando nel luglio del 1984 il Napoli presentò alla stampa il neoacquisto Maradona ci fu un francese che si alzò chiese, con una faccia più tosta che ingenua, se il Pibe de Oro fosse stato acquistato con i soldi della camorra. L’allora presidente, Corrado Ferlaino, lo cacciò dalla stanza. Va ricordato, al netto delle pessime frequentazioni successive del campione argentino.
Dall’Inghilterra e dalla Francia alla Germania, dallo sport allo spettacolo. Toni Servillo in un’intervista al «Frankfurter Allgemeine Zeitung» ha dovuto stare a rintuzzare il tormentone della spazzatura, ancora. Dalla Grande Bellezza alla Grande Monnezza. Ha risposto con accenti chiaramente seccati: «Questi problemi dei rifiuti e della criminalità esistono anche altrove, a Palermo, Roma e anche qui nel nord. Io mi rifiuto di parlare sempre male di Napoli. Non è un caso che dal diciassettesimo secolo sia una metropoli del teatro, della musica e del cinema. A Napoli c’è ancora un popolo». E ha aggiunto: «Gente autentica che non interpreta il proprio ruolo sociale. Questo popolo è vitale, fa rumore, e proprio questo nutre la mia creatività come attore. Lì io posso trarre arricchimento dall’osservazione della gente».
E su tutto questo polverone s’innesta la crociata preventiva, che tiene banco da giorni, e ha assunto la forma, magari controvoglia, di una grande campagna pubblicitaria gratuita, sulla serie tv di Sky ispirata al best seller di Roberto Saviano, «Gomorra». Andrà il onda martedì prossimo, ma già sembra di saperne tutto. Gli ultimi a scagliarsi contro la presunta pessima rappresentazione di Napoli che emergerebbe dalla fiction sono proprio Maradona e l’imprenditore Alfredo Giacometti, che già altre volte s’è speso come paladino dell’orgoglio napoletano vilipeso. Quest’ultimo ha fatto affiggere dei grandi manifesti contro la serie del colosso satellitare, accusato di offendere (ma l’espressione ha riferimento più immondi) il popolo napoletano. Maradona s’è detto, invece, «incredulo e disgustato» per l’«orribile pubblicità per Napoli». Diego, fiscalmente difeso da Angelo Pisani, presidente della Municipalità della quale fanno parte le Vele, già quattro mesi fa si era scagliato contro la serie tv perché a un personaggio, precisamente a un killer, era stato dato il soprannome di Maradona. La produzione allora ha soprasseduto ma in questi giorni starà gongolando per tutta la promozione a costo zero che si sta guadagnando. Non tanto sulla pelle di Napoli, ma su quella di chi, quando gli si indica la luna, guarda il dito.
fonte: il mattino
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