Diritti tv, calcio italiano e futuro. I tre punti cardine della lunga intervista di Marco Bogarelli, leader di Infront, a La Gazzetta dello Sport. Queste le sue principali dichiarazioni: “Non cerco di limitare il mio business, sarei un cattivo manager. Non c’è una posizione dominante perché non esercitiamo quel tipo di politica. Ci muoviamo in base alla profittabilità del business, che significa far consumare più calcio. Tutto ciò l’abbiamo ottenuto portando risultati, stimolando la crescita. Non è che ora io mi fermi perché qualcuno mi dice che domino qualcosa: la mia agenda non è di controllo ma di profittabilità. Se non la realizzo mi licenziano. (…) Portai a Matarrese una proposta per fare l’advisor della Lega. Con quella proposta è stata fatta una gara a cui hanno partecipato 12 società: non proprio un gesto di amicizia. Le proteste della Juventus? Noi abbiamo vinto perché abbiamo messo più grano sul tavolo. La Juve aveva una vicinanza importante col gruppo Lagardère, ma Sportfive fece un’offerta inferiore alla nostra. I poteri forti sono altri visto che c’è una squadra come la Juve che appartiene al gruppo più liquido d’Italia e ha il 30% dei tifosi. Nelle elezioni di Lega, una simpatia potevo avercela semmai per Abodi, che è stato mio socio. E quando si è discusso il rinnovo del nostro contratto i più grandi litigi li ho avuti con Lotito, non con Agnelli. Se Lotito e Galliani hanno capacità di aggregare il consenso di 16-18 società di A, qualcun altro dovrebbe farsi delle domande. Noi non facciamo politica, non ci schieriamo, lavoriamo con chi c’è. È vero che Tavecchio per esperienza ci sembrava più adatto, ma semplicemente aveva i numeri per vincere. Poi se vuoi un grande manager alla guida della Federazione non puoi dargli 38mila euro lordi… Record introiti nel momento peggiore della Serie A? Quando eravamo i nobili del calcio, fino a 10 anni fa, il prodotto non era globale. Oggi lo è. (…). La crescita organica del consumatore mondiale ha portato alla polarizzazione di pochi marchi, noi non l’abbiamo colta. Lo stadio è la chiave di tutto: nell’attesa, con investimenti di qualche milione di euro a club, si possono rendere friendly gli stadi attuali. Oggi il tifoso a casa ha troppi vantaggi rispetto a chi segue una gara dal vivo: replay, commenti, statistiche, diretta gol. (…) Se lo stadio avesse il wifi, se anziché cinque televisori ne avesse mille coordinati da una regia, lo spettatore potrebbe godersi l’arrivo dei pullman delle squadre, le interviste, gli spogliatoi, gli highlights, i replay. Bisogna far sì che la gente passi più tempo allo stadio e che consumi, come in un centro commerciale. In Lega non se ne parla? La sensibilità c’è ma i presidenti sono concentrati sul campo. (…) Il tasso di litigiosità in Lega è ancora abbastanza elevato per avere un approccio sereno. Ma bisogna sforzarsi di fare uno spettacolo adeguato ai tempi: non abbiamo né Cristiano Ronaldo né Messi, qualcosa dobbiamo inventarci. In Germania sono ripartiti dagli stadi: nel 2006 i giocatori della Bundesliga facevano ridere rispetto a oggi. E poi è anche una questione di disponibilità. Come rompere la dipendenza dai diritti tv? Intanto va detto che in Italia l’interesse per il calcio è altissimo e i margini di crescita sono pazzeschi. (…) Si va riducendo l’intermediazione tra il cliente finale e le piattaforme distributive: ecco perché il canale della Lega sarà realizzato sicuramente, già dal 2018. Comunque è vero che la Serie A deve svilupparsi su altri fronti. Già nel 2011 presentammo un progetto di sfruttamento di alcuni prodotti collettivi, ora vedrei benissimo una app per le partite di campionato, come quella che abbiamo realizzato con Fifa per il Mondiale. A noi piacerebbe fare l’advisor della Lega anche per stadio e marketing. Preoccupato dalla salute del calcio italiano? È vero che la A è un marchio da rinfrescare, ma ci ha regalato il +58% dai diritti esteri, anche se le agenzie interessate sono scese da 7 a 3. Semmai è sbagliato il sistema d’ingresso alle competizioni Uefa. Non esiste che l’Italia versi 270 milioni per i diritti tv di Champions ed Europa League e abbia solo due squadre più una nella coppa più importante. Ci sono cinque Paesi, Italia compresa, che fanno sì che la Champions esista alimentando il 70% del suo fatturato. La Superlega? L’attuale format non è adattabile alle nuove logiche del calcio. Non voglio un sistema chiuso ma uno aperto che privilegi un ranking concepito anche sul business. Via l’Europa League che non ha senso, sì a una Champions con 6 italiane di diritto, al pari di inglesi, spagnole, tedesche e francesi. Milan e Man Utd si sono affrontate solo 6 volte dalla nascita della Champions. Perché così poco?”.
Fonte: Gianlucadimarzio.com
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