31 Agosto 2008, si gioca Roma – Napoli, prima giornata del campionato di Serie A. In campo finisce 1-1, segnano Aquilani ed Hamsik, ma ad occupare le prime pagine dei giornali e i servizi delle tv italiane non sono le gesta dei giocatori, ma ciò che nel frattempo è accaduto all’esterno. Con un bombardamento mediatico “da principale notizia di cronaca in assoluto” i tg nazionali proiettano le immagini di un treno devastato, di una stazione messa a ferro e fuoco dal tifo napoletano. L’allora governo (Berlusconi + Lega) prende al volo l’occasione per lanciare la crociata contro il tifo violento, tanto che il leghista Maroni, Ministro dell’Interno, decide di cavalcare l’onda e prendere provvedimenti, con il Viminale che ipotizza addirittura il reato di associazione a delinquere per i coinvolti. L’indignazione e il giudizio dell’Italia sono severi. Condanna senza appello. Divieto di trasferta per i tifosi azzurri per tutto il resto del campionato, porte chiuse nel match contro la Fiorentina e salatissima multa. E come potrebbe essere altrimenti, visto l’enorme polverone mediatico suscitato.
Un mese e mezzo dopo, nel silenzio generale, una prima notizia inizia a scalfire il muro di certezze che l’indignata Italia aveva costruito. Il mezzo milione di risarcimento chiesto da Trenitalia non corrisponde ai danni provocati. È il primo tassello di una lunga (e silenziosa) opera che porta il Giudice di Pace di Napoli a condannare la stessa compagnia ferroviaria per non aver fatto viaggiare i passeggeri in condizioni dignitose, facendo partire un secondo treno addirittura dopo quattro ore di attesa. Il tutto si ribalta, ma il segno, la cicatrice sul tifo napoletano è lasciata lì, indelebile. Ancora oggi, in molti forum su internet, i tifosi di altre squadre (soprattutto quelle del Centro – Nord), accusati di episodi analoghi, se non più gravi, tirano in ballo questa vecchia storia, contornandola di un alone barbarico, ingigantendo i fatti originali. Tutto per minimizzare il loro comportamento, come se il fatto di accostarlo ad uno più incivile (poco importa se smentito da un Giudice) li assolvesse, o autorizzasse a comportarsi in tale maniera.
13 Gennaio 2013, si gioca Parma – Juve, prima giornata del girone di ritorno. In campo finisce 1-1, segnano Pirlo e Sansone, ma poco si dice su cosa sia successo fuori dal campo. E di cose ce ne sarebbero da raccontare. Verso ora di pranzo alcuni siti, anche di rilevanza nazionale, lanciano la notizia di scontri al di fuori dello stadio. Leggendo in modo più approfondito si capisce come in realtà si tratti di un assalto di un gruppo di pseudotifosi bianconeri ai danni di un bar di Parma, luogo di ritrovo abituale del tifo gialloblù. Bambini e passanti risultano coinvolti. Siti vicini al mondo bianconero riducono ermeticamente il tutto a “semplici” scontri tra tifosi, mentre circolano i primi video, con tanto di interviste a gente coinvolta nella guerriglia urbana scatenata da queste frange estremiste del mondo juventino. Il silenzio dei media televisivi è tombale, quasi non fosse accaduto nulla, e la notizia rimbalza solo grazie alla miriade di siti e portali dedicati al calcio e ai social network. Un silenzio stano, ma perfettamente in linea con altri episodi del recente passato. Denunce alla mano venne ignorato il pestaggio (sempre da parte di pseudotifosi bianconeri) ai danni di bambini e disabili napoletani in occasione della trasferta allo Juventus Stadium della scorsa stagione. Silenzio da parte degli stessi media pronti a condannare con le loro schiere di opinionisti i fischi dei napoletani all’inno (sui contemporanei cori razzisti neanche un gemito) o gli scontri che portarono alla devastazione dei bagni dell’impianto torinese (episodio usato poi dai tifosi del Padova per giustificare la polemica con il loro Sindaco dopo le intemperanze con i supporters della Juve Stabia).
Eppure, nell’era di Internet, della convergenza multimediale e del Villaggio Globale, non è semplice rimanere allo scuro di certi episodi. Un telefonino è in grado di riprendere e caricare su Facebook ogni singolo evento, ma stranamente la notizia o il fatto, se non investito di dignità televisiva scompare tra le maglie della rete. E così, passano inosservati gli assalti dei tifosi del Verona nella recente gara di Coppa Italia contro il Palermo o in quella contro l’Inter (solo un timido accenno da parte dei colleghi Rai) in cui la Polizia dovette far ampio uso di lacrimogeni. Ebbe invece più clamore l’assalto di gruppi laziali ai tifosi del Tottenham a Roma, ma anche allora nessuna crociata in stile Napoli – Roma o Catania – Palermo (dopo la morte di Raciti alcuni lo chiamarono addirittura il Derby della Mafia), solo sterili e momentanee condanne.
Il regolamento però parla chiaro: la squalifica non è qualcosa di inapplicabile. D’altronde ciò fu fatto ai danni di Napoli e Catania, perché non farlo anche per altre. Il clamore mediatico, funzionale a logiche a volte molto lontane dal calcio, non può essere un alibi. Determinati episodi, solo perché ampiamente trattati dalle Tv, non possono essere pretesto per sminuirne altri di pari intensità, a loro volta poco trattati o addirittura ignorati. Sembrano farneticazioni , sogni utopistici, in un paese in cui c’è razzismo da condannare o razzismo da sminuire, dove invocare la morte di milioni di persone è sportivo e fischiare un avversario non lo è. Dove certi striscioni sono goliardia, in barba a morte, tragedie o future sciagure. L’utopia della Legge che si scontra con la realtà della legge “ad squadram”, o “ad tifosum”. Il paese delle mille contraddizioni, in cui un sediolino rotto vale come la dignità di un popolo, o nel quale il razzismo si condanna se ti chiami Boateng, ma non se ti chiami Ibarbo. E se sei un povero barista di Parma ti tieni anche il locale rotto, mica sei Trenitalia. Quindi caro Tosel, persona di Legge, i video ci sono, le testimonianze pure. Oltre a non sentire stavolta vogliamo anche non vedere?
Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
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